Il secondo incontro con la rubrica inaugurata qui quasi un anno fa è dedicato a uno scrittore italiano che argomenta e sostanzia il suo amore per la lingua tedesca, nutrendolo di un dialogo con la scrittura di Thomas Bernhard, in particolare con Estinzione (Auslöschung, 1986), romanzo che ho frequentato e che torno con regolare inclinazione a frequentare per diversi motivi , due dei quali sono ‘spiegati’ in rete, rispettivamente nell’introduzione alle poesie di Ingeborg Bachmann pubblicate nella mia traduzione da Francesco Marotta su La dimora del tempo sospeso e nel mio racconto Estinzione coatta. Lo scrittore è Vitaliano Trevisan, il brano è tratto da Il ponte. Un crollo. Come per l’interlocutore-modello Thomas Bernhard, anche per per Vitaliano Trevisan il confronto tra la lingua materna e la lingua amata, il canto d’amore intonato alla lingua ‘altra’ è un’occasione formidabile, magistralmente orchestrata, per una critica filologicamente fondata alla miseria politica del proprio paese, per Bernhard l’Austria, per Trevisan l’Italia.(Anna Maria Curci)
«Gli scritti politici di Pasolini sono fondamentali per chiunque voglia capire qualcosa dell’Italia, avevo detto quella mattina a Hennetmair, pensavo seduto alla scrivania, Anche il Viaggio in Italia di Piovene è interessante, e ancor più interessante è lo scritto di Bollati, avevo detto, ma Pasolini è più diretto, più pesante, e dio sa quanto è difficile, per uno scrittore italiano, trovare nella lingua il peso specifico necessario a trattare certi argomenti. Hennetmair, pensavo, come un po’ tutti i tedeschi, ammira la leggerezza dell’italiano come lingua, e dell’italiano come idea, che associa sempre, nella sua mente tedesca, con l’idea di libertà. Nella nostra lingua, aveva detto, la vostra libertà di marcatura emotiva non è neanche pensabile, tutte le sfumature risultano compromesse sul piano sintattico, tutto diventa un blocco compatto, privo di sfumature. In tedesco anche il silenzio, aveva detto Hennetmair quella mattina, si presenta come un blocco unico, pesante, impenetrabile. Non potevo certo dargli torto, ed era significativo che Hennetmair, per esprimere questi concetti, fosse ricorso alla sua lingua madre, dandomi cosí un’altra preziosa lezione sull’efficacia e sulla precisione della lingua tedesca, nonché sulla sua effettiva pesantezza, in rapporto alla leggerezza dell’italiano. Cercare di spiegargli che proprio in quella leggerezza io, in quanto italiano, vedevo un difetto, anziché una virtú, era qualcosa che avevo tentato così tante volte, e sempre inutilmente, che ero propenso a rinunciare. No, pensai, farò lo stesso un tentativo, e, per cercare di spiegarmi, d’improvviso gli recitai, prima in italiano e poi in tedesco, alcune frasi di Pasolini dall’articolo delle lucciole, cercando di dimostrargli quanto piú peso avessero in tedesco le parole di Pasolini. Rovina della rovina, dicevo, prima in italiano e poi in tedesco, crollo nel crollo, cercando di dimostrare a Hennetmair quanto più pesantemente cadessero le parole tedesche rispetto a quelle italiane. Per farmi capire ancora meglio, ricordai a Hennetmair l’inizio di Estinzione, di Thomas Bernhard, autore che, sia io che Hennetmair, conoscevamo molto bene. Anche Bernhard non fa eccezione, avevo detto a Hennetmair, anche lui pensa che la grande virtù dell’italiano sia nella leggerezza. Be’, io non la penso affatto cosí, dissi, e per il suo e mio divertimento, citai diverse frasi di Pasolini, prima in italiano, poi in tedesco, e feci esattamente ciò che Bernhard scrive, che Murau, Franz Josef, il protagonista di Estinzione, scrive d’aver fatto col suo allievo Gambetti, al quale cerca di spiegare quanto piú pesante sia la lingua tedesca rispetto alla lingua italiana. Anch’io, come Murau, posi idealmente le parole sulla bilancia delle mie mani, evidenziando cosí come il piatto tedesco della bilancia, rappresentato dalla mia mano sinistra, scendesse, mentre il destro, che rappresentava l’italiano, salisse. È vero, dissi a Hennetmair, non c’è dubbio: le parole tedesche sono decisamente piú pesanti».
(da: Vitaliano Trevisan, Il ponte. Un crollo, Torino, Einaudi 2007, 49-50)
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