Cronache di Mutter Courage

9 agosto 2019

Proviamo a fare il punto. Oggi, 9 agosto 2019, memoria della morte di Suor Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein, uccisa ad Auschwitz. Devo spiegare che cosa è Auschwitz? Oggi, 9 agosto 2019, mi chiedo anche questo. Provo da anni a parlare del pensiero di Edith Stein, quello sì, a parte gli studiosi di teologia, trascurato. Provo da anni a tenere alta la conoscenza - uso le parole della filosofa a me così cara - e provo da anni a tenere alta la soglia dell'attenzione e della memoria. Ma dove? In questo paese (ex paese del sole, paese dei raggi uva, cantava Caparezza), dove 'virgulti' accademici ignorano l'abc della storia della ricezione di autori fondamentali?

Oggi, 9 agosto 2019, lo charcutier di rigaglie manovrate, l'osceno osannato, chiede pieni poteri a un popolo che, diciamocelo, in nutrita parte pende per lui, per tutta la penisola e per le isole, nel penisolamento più completo.

Oggi, 9 agosto 2019, abbiamo dimenticato l'estate di 30 anni fa, 1989, le braccia aperte a quei treni che arrivavano da un altro paese nel quale per decenni aveva imperato, oltre alla menzogna, la servitù a un altro Stato. Erano i mesi degli abbracci, delle ambasciate accoglienti, delle promesse di magnifiche sorti e progressive, i mesi che preludevano a quel 9 novembre di 'abbattimenti' di muri che sarebbero stati, con il ghigno che mescola le carte, ricostruiti, desiderati, progettati. Neanche questo vi pungola la memoria?

Oggi, 9 agosto 2019, proviamo a fare il punto di due nozioni due di diritto e di economia, disciplina che una volta veniva insegnata in tutti i bienni del curricolo Brocca - chi lo ricorda più? - così come in tanti Istituti tecnici smantellati da successive riforme. Proviamo a riprendere in mano la Costituzione della Repubblica Italiana, articolo per articolo: che cosa rimarrebbe, con i pieni poteri affidati a chicchessia, della Repubblica, nella forma e nella sostanza declinata dalla nostra carta costituzionale? Proviamo poi a calcolare quanto ci costa, quanto ci è costata, quanto costerà ai nostri figli, ai nostri nipoti (se ne avremo, visto che, per dirla con Marie Luise Kaschnitz, “è ancora incerto, è ancora incerto”) quest'opera dei dissennatori coronata dal succhiatore di senno per eccellenza. Quanto costa il ferro? era il titolo di una pièce di Brecht su timori e connivenze di paesi europei dinanzi alla Germania nazista prima del primo settembre 1939. E oggi: quanto costa la connivenza? Quanto costa la paura manovrata?

Proviamo a pensare, proviamo a studiare, ma sul serio, non a scopiazzare, non a falsificare, non a spacciare il banale e il rigurgitato per il vero. Proviamo a usare quella che Edith Stein chiamava "discretio", una volta tanto.

Leggo una pagina scritta da Edith Stein nel 1918. Edith scrive di accadimenti nel mondo e di scelte degli umani. L'accettazione del mistero non esclude la responsabilità nel nostro essere umani nel mondo.

Oggi, 9 agosto 2019, memoria di Santa Teresa Benedetta della Croce, è più pesante la preoccupazione. Non per me.

Anna Maria Curci
9 agosto 2019

Elfsilber - XXXV

Elfsilber

XXXV

Abbiamo ripiegato le bandiere,
i teli funebri e le sporte a rete.
Chi si rimira compiaciuto e sazio
scansa con sufficienza gli irrequieti.

Anna Maria Curci
25 aprile 2015

Rainer Kunze, Il muro

Oggi a 25 anni da quel tardo pomeriggio del 9 novembre 1989, voglio ricordare quel giorno con un altro sguardo, quello del poeta Reiner Kunze, che già nel 1990 scrisse la poesia Die Mauer, Il muro. La poesia fu poi pubblicata nel 1998 dalla casa editrice Fischer nella raccolta ein tag auf dieser erde.

DIE MAUER

Als wir sie schleiften, ahnten wir nicht,
wie hoch sie ist
in uns

Wir hatten uns gewöhnt
an ihren horizont

Und an die windstille

In ihrem schatten warfen
alle keinen schatten

Nun stehen wir entblößt
jeder entschuldigung

IL MURO

Quando lo rademmo al suolo, non avevamo idea
di quanto fosse alto
in noi

Ci eravamo assuefatti
al suo orizzonte

E alla bonaccia

Alla sua ombra tutti
non proiettavano ombra

Adesso stiamo denudati
di ogni scusante

Reiner Kunze, da: ein tag auf dieser erde, sezione die mauer, Fischer Verlag 1998, p. 60

(traduzione di Anna Maria Curci)

(leggi tutto il post su Poetarum Silva, qui)

Ulrich Plenzdorf e l'insegnante Karla: "Wir müssen das Weiterdenken lehren"

Avrebbe compiuto 80 anni oggi, Ulrich Plenzdorf (1934 - 2007), l'autore del romanzo, bestseller degli "anni meravigliosi", Die neuen Leiden des jungen W. (1973). Voglio ricordarlo oggi con un passaggio dalla sceneggiatura del film Karla, che Ulrich Plenzdorf scrisse tra il 1964 e il 1965. Karla è uno dei cosiddetti "Kaninchen-Filme", vale a dire uno di quei film prodotti dalla DEFA e dichiarati poi"dannosi per il socialismo". La sceneggiatura fu pubblicata solo nel 1978 e i cittadini della DDR poterono vedere il film solo nell'ultimo anno di vita della Repubblica Democratica Tedesca, nel 1990.
I principi pedagogici che ispirano l'attività didattica della giovane insegnante Karla sono in palese conflitto con quelli ai quali è improntato il sistema scolastico della DDR (queste sono le motivazioni che portarono alla censura del film nel 1965). In un passaggio, Karla afferma:

«Dobbiamo trasmettere il sapere. Ma, come ha già osservato il rettore, questo sapere si amplia in tutti gli ambiti a incredibile velocità. Ciò che oggi è sufficiente, domani è troppo poco. Perciò dobbiamo soprattutto insegnare come si impara. Dobbiamo insegnare a pensare al di là di quello che si è appreso».

«Wir sollen Wissen vermitteln. Aber [...] dieses Wissen erweitert sich auf allen Gebieten mit ungeheurer Schnelligkeit. Was heute ausreicht, ist morgen zu wenig. Deshalb müssen wir vor allem lehren, wie man lernt. Wir müssen das Weiterdenken lehren. Verzichten wir auf die Breite, wo sie unerreichbar ist.»

(Ulrich Plenzdorf, Karla, Unter Mitarbeit von Herrmann Zschoche. In: Plenzdorf, Filme 2. Hinstorff Verlag Rostock 1988; la traduzione italiana, di Paola Quadrelli, è alle pagine 165-166 del volume «Il partito è il nostro sole». La scuola socialista nella letteratura della DDR)

Dietrich Bonhoeffer, luglio 1944

20 luglio 2014: settanta anni fa l'attentato a Hitler. Nel carcere di Tegel dall'aprile 1943, Dietrich Bonhoeffer venne a sapere del fallimento dell'attentato giò nella sera del 20 luglio 1944. Inizia da quella sera, con la consapevolezza della fine che si approssima, la terza fase della prigionia e quella degli scritti dal carcere più significativi di Bonhoeffer. Il rapporto tra resistenza e resa, tra fede e azione, tra religione e mondo sono al centro di questi testi, che comprendono versi come quelli di Cristiani e pagani, poesia datata luglio 1944. Le tre quartine che la compongono espongono chiaramente, anche nella scelta sobria e rigorosa dei termini, la teologia di Bonhoeffer.

Christen und Heiden

Menschen gehen zu Gott in ihrer Not,
flehen um Hilfe, bitten um Glück und Brot,
um Errettung aus Krankheit, Schuld und Tod.
So tun sie alle, alle, Christen und Heiden.

Menschen gehen zu Gott in Seiner Not,
finden ihn arm, geschmäht, ohne Obdach und Brot,
sehn ihn verschlungen von Sünde,
Schwachheit und Tod.

Gott geht zu allen Menschen in ihrer Not,
sättigt den Leib und die Seele mit Seinem Brot,
stirbt für Christen und Heiden den Kreuzestod
und vergibt ihnen beiden.

(testo riportato da: Dietrich Bonhoeffer, Von guten Mächten,Gutersloh 1976, p. 24)

Cristiani e pagani

Da Dio gli uomini vanno quando hanno bisogno
aiuto implorano, chiedono pane e buona sorte,
d’essere liberati da malattia, da colpa e morte.
Così fan tutti, cristiani e pagani.

Da Dio gli uomini vanno quando Lui ha bisogno,
lo trovan povero, oltraggiato, senza pane e dimora,
vedono come il peccato lo divora,
debolezza e morte.

Dio va da tutti quando hanno bisogno,
sazia il corpo e l’anima con il Suo pane
morte di croce muore per cristiani e pagani
e perdona entrambi.

Dietrich Bonhoeffer
(traduzione di Anna Maria Curci)

Felicitas Hoppe, Johanna. Lettura di Gianni Montieri

Felicitas Hoppe, Johanna. Lettura di Gianni Montieri

Si può raccontare la Storia inventando una storia. Si possono prendere le documentazioni, interi archivi, libri, certificazioni e metterle al servizio di una nuova narrazione. Si può inventare e allo stesso tempo raccontare la verità, così si dovrebbero fare le biografie, così si dovrebbero fare i romanzi. Questo è quello che ha fatto Felicitas Hoppe in Johanna, da poco uscito per Del Vecchio editore, e, tradotto in maniera splendida da Anna Maria Curci. La meraviglia, però, non sta soltanto nel cosa ma nel come. Il come con cui la Hoppe ha raccontato la pulzella d’Orleans è straordinario.
Continua su Poetarum Silva, qui

Intervista a Ilaria Beltramme sul romanzo “Il papa guerriero”

Ilaria Beltramme – Foto di Emiliano Cavicchi

Ilaria Beltramme, Il papa guerriero (Newton Compton, 2014)

Intervista di Anna Maria Curci a Ilaria Beltramme

Il 17 aprile scorso, al “Villaggio Cultura – Pentatonic”, ho avuto modo di tornare a incontrare Ilaria Beltramme, in occasione della presentazione del suo romanzo Il papa guerriero. Con Marco Guerra della libreria “Pagina 348″, che ringrazio, abbiamo rivolto all’autrice alcune domande. Ne è nata una conversazione vivace, che ha coinvolto tutti i presenti. Come è avvenuto per il suo precedente romanzo, La società segreta degli eretici, ho poi inviato a Ilaria le mie domande e ho ricevuto le sue risposte. Pubblico qui di seguito domande e risposte, con il mio grazie a Ilaria Beltramme. (a.m.c.)

AMC: La scelta del punto di vista per narrare la nascita e l’evoluzione del mito del “papa guerriero”, Giulio II, Giuliano Della Rovere, è quella di un personaggio di pura finzione e grande verosimiglianza: il punto di vista di una cortigiana. Perché?

IB: Sentivo il bisogno di navigare nelle stesse acque di Giulio II rimanendo, però, in una posizione defilata. Mi piaceva l’idea di guardare al “suo” Rinascimento dal buco della serratura e con gli occhi di qualcuno che non si facesse abbagliare dallo splendore accecante della sua politica, della sua personalità e del suo gusto artistico. Insomma, cercavo un Cinquecento romano con tutte le ombre del caso, perché ne venisse fuori il ritratto di un’epoca a tutto tondo, vera anche nelle sue debolezze, o nelle sue difficoltà.

Continua su Poetarum Silva, qui

Impegno civile - Lettera di Giovanni Dino

Pubblico volentieri questo messaggio di Giovanni Dino:

Gentili scrittori e poeti
da qualche giorno è stata pubblicata su LA RECHERCHE http://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Proposta_Articolo&Id=396
la lunga lettera che prevede un’antologia d’impegno civile. Invito a pendere visione.

In attesa di un cordiale riscontro
Un fraterno saluto

Giovanni Dino

Ottavio Olita, "Codice Libellula". La verità negata (doppia nota di lettura)

Venti anni fa, il 2 marzo 1994, un elicottero della Guardia di Finanza, nome in codice “Volpe 132″, con due uomini a bordo, Gianfranco Deriu, maresciallo, e Fabrizio Sedda, brigadiere, sorvola la costa meridionale della Sardegna. L’ultimo contatto radio con l’aeroporto di Elmas avviene alle 19,15: «Ci dirigiamo sull’obiettivo segnalato sul radar». Alla domanda: «Volpe 132, quale obiettivo?» non c’è risposta. Silenzio anche al successivo tentativo di collegarsi con l’equipaggio, alle 19.52. “Volpe 132″ è scomparso, inghiottito, cancellato. Quella che segue è una storia, specialità nostrana, di testimonianze ignorate, di depistaggi e crimini, di «verità negate», la storia del caso definito come “Ustica sarda”, che ha visto sei interrogazioni parlamentari – la più recente del dicembre 2013 – e la richiesta dell’istituzione di una Commissione di inchiesta. A 20 anni esatti dal 2 marzo 1994 Poetarum Silva presenta, con una doppia nota di lettura, il romanzo che Ottavio Olita, giornalista e scrittore, ha dedicato al caso “Volpe 132″: “Codice Libellula”. La verità negata.

Continua su Poetarum Silva, qui

Daniele Santoro, Sulla strada per Leobschütz

Per la Giornata della Memoria 2014:

Daniele Santoro, Sulla strada per Leobschütz (La Vita Felice 2012)
Nota di lettura di Anna Maria Curci

Ha in epigrafe quattro versi di Paul Celan, riportati nell’originale in tedesco, la raccolta di Daniele Santoro Sulla strada per Leobschütz. Titolo e versi palesano un programma preciso e coraggioso: il confronto della scrittura in versi con l’indicibile, l’inaudito, sterminio, Sonderkommando, marce della morte, Shoah. Quei quattro versi di Celan, da Cenotaffio, suonano così nella traduzione di Giuseppe Bevilacqua che riporto qui: «Colui che qui dovrebbe giacere, non giace/ in alcun luogo. Ma giace il mondo accanto a lui./ Il mondo, il cui sguardo s’aprì / a tanti e tanti fiori.» Dire di chi non giace in alcun luogo – eppure il mondo giace accanto a lui – è l’obiettivo tracciato e perseguito con la tenacia della memoria, il rigore della ricerca, la profondità del sentire da Daniele Santoro. Nella bella prefazione, Giuseppe Conte precisa che non ci troviamo dinanzi a un libro lirico, né a un libro narrativo, ma a un libro epico ed etico. Concordo con questa chiara affermazione e aggiungo che l’opera si compone di un insieme di quadri che portano con sé e trasportano, Sulla strada per Leobschütz, appunto, fino a noi che leggiamo e ascoltiamo, esattezza della ricostruzione storica insieme respiro e andamento drammatico.

Continua su Poetarum Silva, qui