Max frisch,
Antwort aus der Stille, copertina della prima edizione
Sin dal titolo e dal sottotitolo, Il silenzio. Un racconto dalla montagna, l’opera scopre le carte e dichiara il contenuto. Le immagini dai contorni e dai colori nitidi della natura di severa bellezza, sfida, sfinge e perenne pietra di paragone sono lì, con la loro precisione estrema. Tutto facile dunque? Non ci sono trappole nascoste da qualche bracconiere del dubbio? E, soprattutto, come rendere il silenzio?
Così inizia la mia intervista a Paola Del Zoppo, che ha tradotto Antwort aus der Stille. Eine Erzählung aus den Bergen, seconda opera in prosa di Max Frisch prima mai tradotta in italiano e ora pubblicata dalla casa editrice Del Vecchio. L'intervista prosegue qui, sul blog della casa editrice Del Vecchio, "Senza zucchero".
Su questo blog propongo l'incipit del libro nella versione originale e nella traduzione di Paola Del Zoppo. Buona lettura e, per chi vuole proseguire nella scoperta, l'invito è per l'11 aprile a Roma.
«Es ist ein Tag, wie er zum Wandern kaum schöner sein kann, ein blauer und nicht allzu warmer Tag.
Wie weiße Watte hängen die Wolken über dem Tal, ganz still, und in den Wiesen zirpen die Grillen. Noch ist es Sommer; nur daß das Licht, das über den Feldern flimmert, schon eine goldene Milde hat, und es genügt ein einzelnes Blatt, das einmal am Wege liegt und braune Ränder hat, und man denkt an den Herbst, obgleich noch alles grün ist, obgleich die bunten Schmetterlinge flattern und das reifende Korn noch an den Hängen steht.
Schon seit Stunden hat sich der Wandrer kaum eine Rast gegönnt; er hat sein Hemd ausgezogen
und trägt den Rucksack auf den bloßen Schultern, die braun sind und glänzen. Es ist ein schwerer
Rucksack, beladen mit Seil und Steigeisen, mit Schlafsack und Zelt; auch die Mauerhaken fehlen nicht, und wer immer ihm begegnen würde, erriete es auf den ersten Blick, daß er offenbar Großes vorhat, dieser Wandrer mit dem strammen Schritt und dem Pickel in der schwingenden Hand . . .
Aber es begegnet ihm ja niemand.
Es ist ein stilles und einsames Bergtal, manchmal hört man wieder den Bach, der in den Schluchten tost, oder es geht an den hohen Felsen vorbei, wo das Wasser in stäubenden und silbernen Schleiern niederfällt.
Das ist alles noch wie damals, wie vor dreizehn Jahren; damals ging er mit seinem älteren Bruder, der ihm mancherlei zeigte und erklärte, zum Beispiel, wie ein solches Tal entstünde, wie sich die alten Gletscher langsam eine breite Mulde ausgeschliffen hätten, gleichsam wie ein Hobel, und an den Felsen zeigte er die Gletscherschliffe, die es bezeugen konnten, und wenn man in die Weite blickte, erkannte man auch die Terrassen eines alten und höheren Talbodens. Und dann erst, sagte sein erwachsener Bruder, sei der Bach gekommen, der sich die schmalen Schluchten sägte, in vielen
Jahrtausenden natürlich.
Daran erinnert sich der einsame Wandrer nun, als er diese Felsen wiedersieht. Damals war er ja noch ein Bub, und man hatte noch das jugendliche Gefühl, daß man ein unabsehbares und fast endloses Leben besitze, und vielleicht war es das erstemal, hier an dieser Stelle, daß er sich wie eine Eintagsfliege vorkam –
Damals vor dreizehn Jahren.
Einmal kommt ein holpernder und ächzender Karren des Weges, und man muß zur Seite treten, solange der Staub aufwirbelt und in weißen Fahnen über die Wiesen sinkt.
Auch an den kleinen Brunnen, der später am Wegrand steht, erinnert sich der einsame Wandrer noch; das muntere Plätschern ist nicht älter geworden, und auch diesmal trinkt er von dem eiskalten Wasser, das manchmal einfach ausbleibt, dann gluckst und sprudelt es wieder um so toller.
Köstlich erfrischt es die Stirne, die er unter die Röhre hält; auch die braunen Arme taucht er nochmals in den vermoosten Holztrog, bevor er wieder seinen Pickel ergreift, und bald sind die schwarzen Tropfen auf seinen Schuhen abermals verstaubt und verschwunden.
Vielleicht weiß er selber nicht, warum er sich keine Rast gönnt, trotzdem er eigentlich Zeit genug hat. Oft blickt er nur auf seine wandernden Schuhe und schaut nicht, was links und rechts ist, wie ein Mensch, der eben ein starkes Ziel hat oder jedenfalls meint, daß er eines habe, und der nun einzig und allein noch an dieses Ziel denkt ...»
(Max Frisch, Antwort aus der Stille. Eine Erzählung aus den Bergen, Suhrkamp Verlag 2009, pp. 7-10)
«È una giornata che per camminare non potrebbe essere più bella, una giornata azzurra e non tanto calda.
Come batuffoli bianchi le nuvole pendono sulla valle, immobili, e sui prati friniscono i grilli. È ancora estate; ma la luce che vibra sui campi ha già una dorata dolcezza, e basta avvistare sul sentiero una sola foglia caduta, con i bordi imbruniti, ed ecco che si pensa all’autunno, anche se tutto è ancora verde, anche se le farfalle colorate ancora svolazzano e il frumento sui pendii matura.
Già da ore il viandante si concede a malapena una sosta; si è tolto la camicia e porta lo zaino sulle spalle nude, abbronzate e lucide. È uno zaino pesante, carico di fune e piccone, sacco a pelo e tenda; non mancano neanche gli agganci e chiunque lo incontrasse indovinerebbe alla prima occhiata che ha evidentemente in mente grandi cose, questo viandante dal passo veloce col piccone nella mano che oscilla al passo…
Ma nessuno gli viene incontro.
È una valle solitaria e silenziosa, si sente a volte, come un tempo, il torrente che si intreccia nelle gole o supera le rocce più alte, dove l’acqua precipita in veli di polvere e d’argento.
È tutto sempre come allora, come tredici anni prima; allora camminava con suo fratello maggiore, che a volte gli indicava e gli spiegava, per esempio, come si era formata una valle così, come gli antichi ghiacciai, lentamente, avessero limato un’ampia conca, proprio come una pialla, e come sulle pareti di roccia si potessero riconoscere le striature che lo testimoniavano, e se si guardava in lontananza si potevano riconoscere i terrazzamenti di un antico e più elevato pavimento della valle. E solo poi, diceva suo fratello adulto, era arrivato il torrente che si era scanalato le strette gole, ovviamente nel corso di molti millenni.
Il viandante solitario ricorda tutto questo solo quando rivede le pareti di roccia. Al tempo era ancora un ragazzino, e aveva ancora la sensazione di possedere una vita immensa, quasi infinita, e forse qui, per la prima volta, si era sentito un effimero moscerino –
Allora, tredici anni fa.
A un certo punto un carro traballante e ondeggiante viene giù per la via, e bisogna mettersi di lato finché la polvere vorticante non scende in veli biancastri sui prati.
Anche della minuta fonte che si trova un po’ più avanti, sul ciglio della strada, si ricorda il viandante; il fiero gorgoglio non è invecchiato negli anni, e anche questa volta beve l’acqua gelata il cui flusso talvolta semplicemente si arresta per poi spruzzare e scrosciare ancora più vigoroso.
Rinfresca magnificamente la fronte, che lui trattiene sotto il tubo; anche le braccia abbronzate le immerge nel trogolo di legno foderato dal muschio, prima di afferrare nuovamente la piccozza, e in breve le gocce scure sulle sue scarpe saranno di nuovo secche e scompariranno.
Forse lui stesso non sa perché non si concede riposo nonostante abbia in realtà abbastanza tempo. Spesso osserva solo i suoi scarponi da montagna senza guardare ciò che sorge a destra e a sinistra, come qualcuno che miri a una meta fondamentale, o che comunque pensi di averne una e che si concentri solo e unicamente su quella meta...»
(Max Frisch, Il silenzio. Un racconto dalla montagna. Traduzione di Paola Del Zoppo, Del Vecchio Editore 2013, pp. 9-11)
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