Da dieci anni, Angela, manchi a tutti noi che ti abbiamo conosciuta. Torno a scriverti, oggi, le parole che ti scrissi qualche tempo fa. Le nostre conversazioni proseguono per altre vie rispetto alle conversazioni usuali, ma le tue parole, i tuoi doni, talento e altruismo, i ricordi che hai lasciato dessero frutto nei tuoi scritti e nelle persone che hai incontrato, ci sono e chiedono di essere condivisi.
Angela, sono ricordi e parole ad affiancare il senso di perdita che non vuole ancora tacere. I ricordi: il timido e impacciato gatto Nerino che si lasciava accarezzare da te, una pianta di erica che mi portasti in dono, le discussioni su Muschg e la letteratura come terapia, il corso di russo che progettavamo di frequentare insieme, le impressioni di viaggio che ci scambiavamo. Le parole: le tue, che ora mi sono rimaste solo scritte, oltre che nella memoria. Di tante, eppure mai troppe, parole scelgo quelle del prologo alla tua raccolta di racconti. Il perché della scelta sta nella loro verità vissuta anche quando non era facile continuare a percorrere la strada ‘altra’, nella “tranquilla sagacia” del tuo sguardo (così Lidia Ravera, che non a torto ti definiva sua “allieva preferita”, nella prefazione ai racconti), nella forza contagiosa che, attraverso questo prologo, riesci ancora a darmi. (A.M.C.)
Prologo
Da lungo tempo mi interrogo su questa faccenda della diversità.
Perché alcuni scrivono?
Avevo cominciato presto a dubitare che la scrittura avesse la sola funzione di obliarci dalle afflizioni quotidiane, cercavo spiegazioni nella teoria.
La spinta a scrivere è il disagio nel mondo. Le forme d’arte derivano da pulsioni materializzate a scopo catartico, oppure da scorie accumulate con le quali si costruiscono barriere per trincerare la propria fragilità.
Però a scrivere rimangono gli altri, i diversi.
Chi scrive è un alieno, non solo ai nostri tempi. Chi è normale lavora, guadagna, spende, costruisce.
Chi scrive o legge troppo è strano, nasconde di solito la sua attività agli altri, ai normali. I più non si espongono, pochi diffondono segretamente i propri scritti sperando senza confessarlo in una visibilità futura.
Una scuola di scrittura è lì per legittimare le nostre aspirazioni segrete. Scopriamo allora che ci sono altri come noi, che lavorano per vivere ma non vivono solo per lavorare. Un posto dove gli obblighi verso gli altri sono banditi, non l’impegno con noi stessi.
‘Un mondo con gente che scrive, suona, dipinge, è un mondo più bello’ ci dice subito chi della scrittura ha fatto un mestiere.
I madonnari danno colore al grigio dei marciapiedi, i suonatori improvvisati rendono meno tetro il nostro passaggio nei tunnel della metropolitana.
I diversi esistono per rendere più bello il mondo dei normali.
Pochi ci riescono, né tutti vi aspirano. C’è già chi teorizza un mondo senza lavoro. Non si sono chiesti se in questo mondo ognuno cercherebbe il proprio spazio creativo o piuttosto se l’inattività porterebbe con sé solo amorfismo o depressione.
O magari siamo noi a sbagliare: gli altri, appagati, non si interrogano.
Però c’è chi ama ballare, leggere, andare alle mostre. E perciò è bene che qualcuno colori, componga, digiti moderni geroglifici. Meglio se dopo aver imparato ed esercitato con pazienza e cura certosina. In botteghe artigiane dove noi apprendisti sui generis non ci sentiamo più tali, noi e le nostre passioni.
(Angela Cacopardo, Una passione divorante. Prefazione di Lidia Ravera, L’Autore Libri, Firenze 2007, pp. 15-16)
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