Paula Modersohn-Becker. La solitaria di Worpswede
Paula Becker nacque l’8 febbraio 1876 a Dresda. Suo padre era ingegnere nelle ferrovie. Nel 1888 la famiglia si trasferì a Brema. Sappiamo poco della sua giovinezza e delle ragioni che la portarono alla pittura. In ogni caso non cercò mai di intraprendere un’altra professione. Dopo aver frequentato la London School of Arts e la Kunstschule a Berlino, nel 1897 si recò a Worpswede.
Nella cittadina immersa nella brughiera si erano già trasferiti molti pittori, tra i quali Fritz Mackensen (1869-1953) e Otto Modersohn (1865-1943), per vivere e lavorare in solitudine.
Per un anno seguì le lezioni di Mackensen e dipinse, come facevano i suoi compagni di corso, motivi tipici del paesaggio nella Germania settentrionale - betulle, brughiera, palude, contadine, bambini. Eppure questa suggestiva pittura d’atmosfera non la appagava. A differenza dei suoi compagni di percorso, Paula voleva l’innovazione.
Nel 1900 si recò a Parigi, dove conobbe i quadri di Millet, dei pittori bretoni di soggetti rurali, che maggiormente si avvicinavano alla sua concezione dell’arte. L’esperienza più significativa di questo viaggio artistico fu tuttavia l’incontro con le opere di Vincent Van Gogh, nelle quali aveva trovato ciò che aveva cercato per tanto tempo: “la semplicità della forma grande”, come la chiamava.
Nel 1901 sposò Otto Modersohn. Negli anni successivi si recò ancora tre volte a Parigi e nel 1905 fu Gauguin, i cui dipinti vide nel Salon d’Automne, a diventare ciò che era stato per lei Van Gogh. Le superfici chiare, nettamente separate l’una dall’altra e tuttavia armoniose, con le quali Gauguin creava i suoi quadri e i colori puri, che egli faceva risplendere ‘indomiti’, trovavano corrispondenza nelle idee che ella aveva sull’arte e la confortavano nella sua ricerca della “forma grande”. In un altro viaggio venne a contatto con l’opera di Cézanne, del quale riconobbe l’importanza per l’arte moderna molto tempo prima che il grande pubblico si accorgesse di lui.
Nella colonia di artisti a Worpswede, della quale fece parte, a partire dal 1900 e per un breve periodo, anche Rainer Maria Rilke, Paula cominciò a dipingere quadro dopo quadro – con colori terrosi, granulosi, chiari, in una maniera di dipingere che rinunciava a qualsiasi compromesso. Aveva trovato la sua via e lavorava come in preda a un’ossessione. Se da un lato creava ancora dipinti alla maniera dei pittori della brughiera – frutti e fiori, pane e brocche, dall'altro il suo interesse per la figura umana, per il nudo, il ritratto, per l’essere umano e, in generale, per tutto ciò che concerneva la sfera umana, era tuttavia più forte. Per lungo tempo non si occupò tanto della suggestività quanto piuttosto della grande forma, della realizzazione del visibile in un mondo di immagini autonomo.
Perfino le raffigurazioni di sé – non erano ritratti nel senso proprio del termine, ma toccanti ‘professioni’ di una grande donna che aveva lasciato i sentieri battuti della pittura per creare qualcosa di nuovo - erano inusuali, sconcertanti, incomprensibili.
Il cammino di Paula Modersohn-Becker si interruppe improvvisamente nel 1907. Morì pochi giorni dopo la nascita della prima figlia. […]
Per colei la cui vicenda umana si era compiuta prematuramente Rainer Maria Rilke scrisse il requiem “Per un’amica”
Ché la capivi tu, la pienezza dei frutti.
Li posavi su piatti innanzi a te
e controbilanciavi con colori il loro peso.
E come frutti vedevi anche le donne
e così vedevi i bimbi, dall’interno
spinti nelle forme del loro esistere.
[da: Karl Rolf Seufert, Paula Modersohn-Becker. Die Einsame von Worpswede, in Georg Propp (a cura di), Große Frauen der Welt, Arena, Würzburg 1988, 266-268, traduzione di Anna Maria Curci; I versi di Rilke sono riportati nella traduzione di Dario Borso, pubblicata qui da Francesco Marotta]
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