Mentre è in uscita il secondo volume del "Progetto Domin", curato da Paola Del Zoppo e nella traduzione di Ondina Granato per l'editore Del Vecchio, riprendo la lettura di Alla fine è la parola / Am Ende ist das Wort, sempre di Hilde Domin. Oltre a quello dell'autrice, si ripetono gli stessi nomi per la curatrice, la traduttrice e l'editore. Sono gli stessi nomi del volume Con l'avallo delle nuvole, che ha inaugurato la storia dell'incontro tra la poesia di Hilde Domin e chi in Italia legge poesia.
Il 22 aprile scorso, in una libreria romana, è stata Anita Napolitano a proporre una lettura di poesie di Hilde Domin nell'ambito del progetto "Saffo e le altre". Ero presente a quell'incontro, su invito di Cinzia Marulli Ramadori (gruppo di coordinamento del progetto) e sono stata felice di poter riascoltare - e per quanto riguarda l'originale tedesco far ascoltare - alcuni dei testi proposti nel volume Alla fine è la parola.
Alla fine è la parola / Am Ende ist das Wort presenta le prime due raccolte di Hilde Domin: Nur eine Rose als Stütze (Solo una rosa a sostegno), che apparve nel 1959 per l'editore Fischer di Francoforte sul Meno e raccoglieva poesie scritte tra il 1953 e il 1958 tra Stati Uniti, Spagna e Germania, e Rückkehr der Schiffe (Rientro delle navi), raccolta pubblicata nel 1962 da Fischer, che riuniva poesie composte tra il 1958 e il 1861, prevalentemente tra Spagna e Germania.
Scrive Ondina Granato in Incontro con Hilde Domin:
«Ho incontrato Hilde Domin per la prima volta nell’afosa estate del 2003, a Heidelberg. Era il 27 luglio, giorno del suo compleanno, che aveva scelto di trascorrere in un ristorante italiano con studenti di letteratura tedesca dell’università. Non conoscevo la sua poesia, ma, come tanti, conoscevo la sua storia, la sua vita, e ne ero ovviamente affascinata e attratta.In seguito a quell’incontro ho iniziato a leggere la sua poesia, cercando in ogni verso tracce della vita movimentata che sapevo aveva avuto, cercando di capire cosa possa significare vivere per più di vent’anni in esilio, essere «ein Fremder,/ der sich/ in keinem Zuhause/ ausweinen kann» («[una] straniera,/ che non ha casa/ in cui piangere») e, al ritorno in Germania, «[…] der Fremde,/ der Ihre Sprache spricht» («[…] la straniera,/ che parla la loro lingua»). Cercavo un’immedesimazione e una vicinanza con lei, scavavo nei versi in cerca di immagini della sua vita che mi potevano essere sfuggiti, volevo ricostruire il suo percorso, capire come la sua mente avesse rielaborato tutto ciò che aveva visto e vissuto, e come esperienze di tale forza potessero esprimersi in poesia. Stavo cadendo nell’errore di leggere la sua opera solo alla luce della sua vita, non vedendo altro nei suoi versi che il suggestivo racconto di un’esistenza.
Ho sentito presto la necessità di abbandonare questo approccio unicamente “biografico” all’opera di Hilde Domin, per concentrarmi maggiormente sulla sua complessità concettuale, leggendo e approfondendo i suoi testi teorici quali Wozu Lyrik heute o Das Gedicht als Augenblick von Freiheit. Mi sembrava necessario per non limitare la forza della sua poesia a un mero riflesso della forza della sua vita. Mi è parso allora ancora più chiaro il ruolo che Hilde Domin riteneva dovesse avere la poesia, il carattere universale di “impegno” ed engagement a cui essa non deve sottrarsi, e anche i riferimenti più strettamente personali mi apparivano in tutta la loro potenza simbolica. Ho anche recepito come particolarmente importante comprendere il contesto storico–culturale in cui si collocavano i suoi versi, soprattutto trattandosi di una poetessa che aveva iniziato a scrivere lontana dal proprio Paese ma nella propria lingua»
(Ondina Granato, Incontro con Hilde Domin, in: Hilde Domin, Alla fine è la parola, Del Vecchio editore 2013, pp. 20-21).
«Nella propria lingua», si: Hilde Domin, nata Löwenstein, che nel 1954, prende - come spiega nella poesia Poter approdare - il suo nome dall'isola che la ospitò, sceglie la parola tedesca, "parola dell'uccisore", per esprimere il proprio pensiero poetico. Come scrive Paola Del Zoppo:
«È in questa parola che torna in Germania, prima di rimettere fisicamente piede sul suolo natio. Non c'è arrendevolezza nella sua scelta, bensì una grande dose di coraggio, e soprattutto una grande indipendenza morale e creativa.»
(Paola Del Zoppo, La città d'oro fatta di niente, in: Hilde Domin, Alla fine è la parola, p. 6)
Sono fondamentali, allora, le parole che Hilde Domin rivolge a Nelly Sachs, in occasione del settantacinquesimo compleanno dell'amica poetessa:
«E per questo Tu scrivi per tutti. Proprio come la Droste, proprio come la Lasker. O come Mombert o Trakl o chiunque altro. E ovviamente in prima istanza per quelli la cui lingua madre è il tedesco. E per i quali il tedesco sarà lingua madre (o che leggono il tedesco come la propria lingua). E per questo sei un poeta tedesco e non puoi essere altro. Tu, che parli delle vittime e sei Tu stessa scampata per poco. E che continuamente soffri per questo. Di questo vive la Tua lirica, di questa grande tensione che sempre fu e che oggi è ancora di più, perché la realtà ci propone di vivere in più grandi tensioni. Questa caratteristica della poesia moderna, il paradosso che è su tutte le bocche non viene portato in forma artistica in chissà quale luogo, viene innanzitutto e soprattutto vissuto, vissuto nel modo più difficile.»
(da: Hilde Domin, Lettera aperta a Nelly Sachs. Traduzione di Paola Del Zoppo, in: H.D., Alla fine è la parola, pp. 31-32)
Di seguito riporto, dal volume, la poesia, che ho avuto modo di leggere nell'originale tedesco e nella traduzione di Ondina Granato, in occasione dell'incontro del 22 aprile 2014: Herbstzeitlosen, Colchici autunnali.
Herbstzeitlosen
Für uns, denen der Pfosten der Tür verbrannt ist,
an dem die Jahre der Kindheit
Zentimeter für Zentimeter
eingetragen waren.
Die wir keinen Baum
in unseren Garten pflanzten,
um den Stuhl
in seinen wachsenden Schatten zu stellen.
Die wir am Hügel niedersetzen
als seien wir zu Hirten bestellt
der Wolkenschafe, die auf der blauen
Weide über den Ulmen dahinziehn.
Für uns, die stets unterwegs sind
- lebenslängliche Reise,
wie zwischen Planeten -
nach einem neuen Beginn.
Für uns
stehen die Herbstzeitlosen auf
in den braunen Wiesen des Sommers,
und der Wald füllt sich
mit Brombeeren und Hagebutten -
Damit wir in den Spiegel sehen
und es lernen
unser Gesicht zu lesen,
in dem die Ankunft
sich langsam entblößt.
Colchici autunnali
Per noi, a cui è bruciato lo stipite della porta,
sul quale erano segnati
gli anni dell’infanzia
centimetro per centimetro.
Noi, che non piantammo
un albero nel nostro giardino
per mettere
una sedia nella sua ombra crescente.
Noi, seduti sulla collina
come pastori incaricati
delle pecore di nuvole, che avanzano
nel pascolo blu sopra gli olmi.
Per noi, sempre in cammino
– un viaggio lungo una vita,
come tra pianeti –
dopo un nuovo inizio.
Per noi
nascono i colchici autunnali
negli scuri prati dell’estate,
e il bosco si riempie
di more e rosa canina –
Perché possiamo vedere nello specchio
e imparare
a leggere il nostro viso,
nel quale lentamente
si svela l’arrivo.
(Hilde Domin, Alla fine è la parola / Am Ende ist das Wort. A cura di Paola Del Zoppo. Traduzione di Ondina Granato, Del Vecchio Editore 2013, pp. 60-63)
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