Nur wer die Sehnsucht kennt…. il Lied romantico*
Anna Maria Curci
Perché proprio il Lied romantico?
La scelta di imperniare questo contributo sul Lied romantico scaturisce dalla natura stessa di questo: splendido connubio, probabilmente mai ripetuto a così sublimi livelli, tra parola e musica, il Lied romantico mostra quali vette possa raggiungere la fusione tra Volkspoesie e Kunstpoesie, tra radici popolari, e dunque collettive, della cultura – nel nostro caso della cultura germanica – e creazione individuale dell’artista, del poeta, così come del compositore. Con le parole di Ladislao Mittner: «Soltanto il breve e pur compiuto Lied, frammento dell’anima, ma frammento di eternità, perché riflesso immediato dell’eterna mobilità dell’anima, costituisce una vera e sostanziale saldatura tra il romanticismo poetico e musicale. Con Schubert e poi con Schumann sembrò quasi che la musica volesse dire un’altra volta tutto quello che la poesia aveva già detto; e certo gran parte – la parte migliore – della poesia tedesca divenne proprietà del popolo tedesco soprattutto perché i compositori romantici avevano saputo esprimerne con geniale sensibilità i più profondi valori».
* La scelta di pubblicare oggi, 29 luglio 2013, il breve contributo, tratto da una conferenza tenuta qualche anno fa presso l’Associazione Culturale Eur, è legata alla ricorrenza dell’anniversario della morte di Robert Schumann.
Associazione Culturale “Villaggio Cultura – Pentatonic”
Viale Oscar Sinigaglia 18 -20, 00143 Roma
Incontro con l’autore: Vincenzo Mastropirro*
Alla lettura di poesie Vincenzo Mastropirro alternerà l’esecuzione di brani musicali
Introduce l’incontro Anna Maria Curci
“Non capita di frequente che qualcuno ti prenda per mano e ti faccia percorrere un sentiero la cui esistenza ti era pur nota, ma del quale non avevi intravisto altro che istantanee passeggere, illuminate per pochi attimi e subito scomparse senza neanche passare per la dissolvenza, certamente gelose del loro carico di eredità, forse riluttanti a rilasciare così, al primo lampo di intuizione, attestati di appartenenza.
Quel “qualcuno” è una raccolta di poesie, Tretìppe e martìdde. Questo e quest’altro, di Vincenzo Mastropirro ( Roma, 2009), scritte nella lingua di “attanème” (mio padre), il dialetto di Ruvo di Puglia. Quel “sentiero” è il viaggio tanto atteso, profondo e “radicale” (Francesco Marotta), a ritroso e in avanti, è la conversazione con i lari che rischiara e chiarisce il presente, è il fondale di schmeichl un trern, sorrisi e lacrime – e l’yiddish mi viene in soccorso qui – davanti al quale si esibisce, stiracchiandosi o dimenandosi, l’esistenza.” (Anna Maria Curci)
Flautista, compositore, poeta, Vincenzo Mastropirro è personalità eclettica e poliedrica. Dal 1987 suona col Trio “Mauro Giuliani” per importanti teatri e sale concertistiche in Italia e all’estero; col Trio ha inciso cinque CD con le case discografiche FonitCetra, Bongiovanni, Rugginenti, PhoenixClassics, Warner Music. Tra le sue raccolte di poesia Tretìppe e martìdde e la partecipazione all’antologia Guardando per terra. Voci della poesia contemporanea in dialetto. (LietoColle 2011).
*Ingresso con tessera ARCI, è possibile tesserarsi in sede
Still ist die Nacht, es ruhen die Gassen,
In diesem Hause wohnte mein Schatz;
Sie hat schon längst die Stadt verlassen,
Doch steht noch das Haus auf dem selben Platz.
Da steht auch ein Mensch und starrt in die Höhe,
Und ringt die Hände, vor Schmerzensgewalt;
Mir graust es, wenn ich sein Antlitz sehe -
Der Mond zeigt mir meine eigne Gestalt.
Du Doppelgänger! du bleicher Geselle!
Was äffst du nach mein Liebesleid,
Das mich gequält auf dieser Stelle,
So manche Nacht, in alter Zeit?
Quieta è la notte
Quieta è la notte, riposano le vie,
In questa casa abitava il mio tesoro;
Da lungo tempo ella ha lasciato la città,
Eppur la casa sta allo stesso posto.
C’è pure una persona e fissa in alto,
E torce le mani, per violento dolore;
Io provo orrore, quando ne scorgo il volto -
È il mo sembiante che la luna mi mostra.
Tu sosia! Tu cereo compagno!
Che ti scimmiotti a fare il mio cruccio d’amore,
Che proprio qui mi ha causato tormento,
Più di una notte, in epoca lontana?
Associazione culturale “Villaggio Cultura – Pentatonic”*
Viale Oscar Sinigaglia 18 – 20, Roma
Cristina Bove, Mi hanno detto di Ofelia, Smasher 2012
Introduzione di Simonetta Bumbi e Anna Maria Curci
Musiche di Orlando Andreucci
«Incontrare Cristina Bove attraverso il profumo della carta stampata, è un rinnovare il piacere che si prova mentre la si legge nel virtuale, ché riesce a trasmetterti tutti i suoi voli terreni con ali d’anima, e sia che si pianga, si sorrida o si attraversi solo un sogno o un incubo, c’è sempre il desiderio della bellezza che esplode come un’impollinazione». (Simonetta Bumbi)
«L’eleganza che unisce talento innato a sapiente e originale rielaborazione è tratto caratteristico di tutti i componimenti». (Anna Maria Curci)
CRISTINA BOVE si racconta: Sono nata a Napoli il 16 settembre 1942, vivo a Roma dal ‘63. Ho cominciato da piccolissima a disegnare, a nutrire la passione per la lettura. In seguito mi sono dedicata alla scultura e alla scrittura. Negli ultimi tempi mi esprimo soprattutto in poesia. Mi sento testimone del mio tempo e della mia esistenza. Credo nella libertà e nella giustizia, penso che il rispetto della diversità sia un valore fondante tra gli esseri umani e ne sia inestimabile ricchezza. Sono alla costante ricerca di un significato in questo infinito mistero in cui mi sento immersa, ma non mi faccio più domande inutili. Amo la vita, i miei cari, e tutti gli esseri umani dal cuore buono e dalla mente aperta. Considero la poesia un linguaggio universale, l’esperanto dell’anima.
*ingresso con tessera ARCI; è possibile tesserarsi in sede
Quarantuno anni fa, il 13 agosto 1971, nasceva a Potenza Francesco Albano, in arte Yzu. Dei suoi primi giorni a Pignola, dove visse fino all’età di 19 anni, posso raccontare, come ho fatto qualche tempo fa, dalla prospettiva di chi allora aveva dieci anni, per frammenti incantati. Oggi desidero far suonare la voce della poesia di Yzu con un itinerario a ritroso, partendo dall’ultima raccolta da lui pubblicata, Canzoni per una stanza abbandonata (Erreciedizioni, Anzi 2011). Come ricorda Antonio Lotierzo in Suonaci una poesia, YZU. Poesia e performance in Francesco Albano (Erreciedizioni, Anzi 2012), Yzu pubblica «la sua opera poetica più matura e più complessa» nel maggio 2011. Scelgo tre poesie dalla silloge, la prima e la settima dalla sezione ex machina , prima delle tre parti, e un lunedì - (in chiaroscuro), ultima delle sette poesie che compongono la terza parte, settimana di passione. Di questa poesia esiste una versione recitata da Vinicio Capossela ed eseguita presso l’Audiorium del Conservatorio di musica “Gesualdo da Venosa” di Potenza il 18 novembre 2011, come testimonia il DVD che accompagna il volume Suonaci una poesia, Yzu. Il mio ringraziamento va alla mamma di Francesco Albano, che mi ha fatto dono dei volumi di poesia di suo figlio, Yzu.
I scrivo per non perdere memoria del brutto.
il lavoro sulla parola -
l’incisione in muri di pietra
di un quadro mobile
che ha vita propria e
un proprio incedere
svilupparsi metamorfosarsi narrare
come registrazione e proiezione -
la vita come un block notes …-
sì, prendo appunti -
fare di ogni miseria ricchezza
cogliere da ogni fiore
la merda che l’ha nutrito
serbare tra le mani
ogni goccia di profumo carpita
all’ignoranza dei corpi che incontro
donare quel po’ di puzza
che mi resta – baciare -
oppure diciamo così,
cerchi di salvare la tua vita
da bacarozzo in un processo
inverso di sublimazione
che passa tra la parola.
(argomento, p, 33)
VII
la mia mano sinistra
mi piace il suo imbarazzo
nell’affrontare un gesto
è impacciata non riesce
dinamica o precisa
ha una naturalezza
improvvisa come di
fotogrammi isolati
vive sorprese estreme
incantati contatti.
amo la sua estraneità.
(la mia mano sinistra, p. 42)
un lunedì - (in chiaroscuro)
fratello buio
mesi vissuti al buio
mesi vissuti senza luce
luce ch'era riuscita
a smuovere un po' la cenere
che asettica copriva
una brace dimenticata.
giorni abbracciato al buio
giorni serrati forte gli occhi
occhi che sanno luce
e fingono di non vedere -
ché tanto bellezza vissuta
non è brace dimenticata.
Nel 1964 inizia il lavoro all'opera Der junge Lord: musica di Hans Werner Henze, libretto di Ingeborg Bachmann. Bachmann scrive l'intero primo atto nella primavera del 1964; in una lettera che Henze le scrive da Castel Gandolfo il 19 luglio 1964, lo stato dell'arte descritto dimostra un deciso avanzamento dei lavori.
La prima assoluta dell'opera alla Deutsche Oper di Berlino è dell'aprile 1965.
Nella lettera del 19 agosto 1964, scritta in italiano (gli errori che chi legge rileverà non sono dunque refusi), Hans Werner Henze fa riferimento al progetto di Ingeborg Bachmann: un carteggio sul procedere del lavoro comune a "Der junge Lord":
"Carissima Bimba,
Ebbi, dopo tre telefonate internazionali, l'invio d'un messaggero personale, ed un telegramma al prezzo di lire 3.000, i tanti bramati testi che mi servivano. Una settimana mi rubasti, in questa calda estate, dalle vacanze dalle quali mi separa soltanto il finire del »giovane lord.« Come sempre, il tuo comportamento di tartaruga lo fai poi perdonare per la qualità di quello che fai - ma talvolta si può anche disperare di te. La desiderata e con intensità richiesta Inhaltsangabe non venne mai fin'ora, e nemmeno la lunga lettera che promettesti di mandarmi quella sera stessa. Così immagino, non ci sarà mai il famoso carteggio da te stessa proposto.
¿Ma che fai? Scommetto che non stai scrivendo e che il quarantesimo anno che si sta aviccinando anche per te ci vedrà senza un nuovo lavoro tuo. ¿Ma cosa può essere tanto importante nella vita da non permettere un continuo disciplinato lavoro, che è del resto, l'unico scampo, sia per cancri, sia per artisti, per preti, per call-boys, papi, presidenti e suonatori di hekkelfono.
Ormai il titolo del »junge Lord« è diventato talmente fisso negli ambienti musicali ed è stato varie volte da me composto in partitura, che sarebbe ancora più confondente se lo si volesse cambiare ancora. [...]¿E a Rowohlt, hai scritto poi? Spero sinceramente di sì. Se non, ho paura il libro sul »Lord« non potrò avvenire."
(da Ingeborg Bachmann - Hans Werner Henze, Briefe einer Freundschaft, Piper, München-Zürich 2004, 387-388)
L'ISOLA CHE SE NE ANDO'
Giulia, Nerita, Corrao, Hotham,
Graham, Sciacca, Ferdinandea.
Nel luglio milleottocentotrentuno
senza che la vedesse nessuno
in una notte nacque un'isola dal mare
tutta nera e di forma circolare.
All'alba i marosi e la risacca
rivelarono quell'ettaro di terreno
davanti alle coste di Sciacca:
la notizia volò in un baleno.
Prima giunsero gli scienziati
e i pescatori un po' meravigliati,
poi, per volere delle autorità,
navi da guerra approdarono là,
correvano a prenderne possesso
perchè ai potenti, come accade spesso,
una terra nuova, che non s’è mai vista
risveglia sempre voglie di conquista.
Vovevano fare di quella bellezza naturale
una strategica nuova base militare
e i comandanti, per ogni nazione,
piantaron vessilli e le diedero un nome:
Solo un pescatore solitario
comprese quanto fosse straordinario
che un'isola fosse nata dal mare
e la terra fosse tornata a creare...
I Re volevano quel pezzo di terra
disposti a tutto,- anche a far la guerra,
discordi, ma nel nome del diritto,
prepararono l'inevitabile conflitto.
I generali nel cuore della notte
cariche d'armi mossero le flotte.
Fu proprio allora che l'isola pensò
d'aver visto abbastanza, e se ne andò,
un gran boato, un ribollire intorno,
e quando finalmente giunse il giorno
le spedizioni trovarono soltanto
il mare piatto, e uno sbuffo ogni tanto.
l'isola era tornata sotto il mare
dove nessuno la poteva disturbare,
l'isola era tornata sotto le onde
ed è ancora lì che si nasconde.
Alberto Marchetti scrive: "Questa, purtroppo, è una storia incredibilmente vera, a dimostrazione dell'ottusità umana e della stupidità di tutte le guerre.... La storia di quest'isola era lì, già bella e pronta, mi sono limitato a darle la coscienza necessaria a salvarla... l'isola è ancora sotto il mare ma la bega diplomatica, assurdo ma vero, a 180 anni di distanza, non si è ancora placata... Nel 1986 fu erroneamente scambiata per un sottomarino libico e colpita da un missile della U.S. Air Force nella sua rotta per bombardare Tripoli nella prima crisi del golfo della Sirte; nel 2002 una scossa ha fatto presagire un suo riaffiorare, il Times ha salutato il ritorno di un'isola nglese, gli italiani si sono affrettati a piantare sulla cima sommersa un tricolore, i siciliani a fissarvi una lapide di rivendicazione territoriale.....
Ponti di voce
dissacrano, svelano
urlano a pochi
(a.m.c.)
Evaporazione apre l'album MALEDETTI (maudits) degli Area, pubblicato nel 1976.
Exibition di Vito Riviello appare nella raccolta Monumentanee del 1992.
Exibition
Saddames et monsieurs
c' est la guerre terrimistificante
fatta alla videogame parterre
d'armi alla vetroresina
di missili espropriati
di rampe semoventi, prendimi
se ti riesce, di bunker... fuochino... fuochino
acqua acqua acquona,
di colori postmoderni
dei tracciati esplodenti
con qualche ricordo di Warhol,
ma anche di doppia morte e tripla
morti di paura di strazio
delusione morti dinnanzi
alle proprie televisioni.
E Dio sa se il petrolio
è l'oppio dei popoli
ora che il suo consumo
brucia in consumazione.
(Vito Riviello)
Parla, dissacra, svela, urla, questo ponte. Qualcuno lo ascolta?
Ultimi commenti