Lingua theodisca peregrina – 3
La terza puntata di questa rubrica (prima e seconda puntata qui e qui) non poteva non essere dedicata ai versi di colui che ne ha ispirato l’intera concezione, Jorge Luis Borges, che, nel 1972, pubblica nella raccolta El oro de los tigres, L’oro delle tigri, la poesia Al idioma alemán, Alla lingua tedesca, un canto d’amore a quell’idioma che Borges aveva imparato a Ginevra dal 1914 al 1918, da solo, attraverso la lettura (così ricorda Borges in Abbozzo di autobiografia) di Jean Paul, Schopenhauer, Heine, Meyrink. In Elogio dell’ombra Borges afferma: “Credo ancora che il tedesco sia una bellissima lingua – forse più bella della letteratura che ha prodotto” (citato in L’oro delle tigri, edizione italiana a cura di T. Scarano, p. 140).
Per tutti coloro che, con pazienza, hanno seguito questo blog nel suo primo lustro di vita e che ieri hanno lasciato un segno affettuoso e attento nei loro commenti a Berlino, 13 agosto 2011, non è un segreto che il mio amore per la lingua tedesca trovi eco fortissima in questo passaggio di Borges “te, invece, dolce lingua di Germania/ti ho scelta e ti ho cercata”. Pochi sanno invece che sono stati questi versi di Borges – insieme a cause affettive, legate all’Ancella del ritmo-Compagna dell’Internazionale - a spingermi a scoprire l’idioma castigliano. Eccoli, i versi di Borges, nell’originale e nella traduzione italiana a cura di Tommaso Scarano, con un grazie pieno a chi passa di qui e alla mia ‘maestrita’.
Al idioma alemán
Mi destino es la lengua castellana,
El bronce de Francisco de Quevedo,
Pero en la lenta noche caminada,
Me exaltan otras músicas más íntimas.
Alguna me fue dada por la sangre-
Oh voz de Shakespeare y de la Escritura-,
Otras por el azar, que es dadivoso,
Pero a ti, dulce lengua de Alemania,
Te he elegido y buscado, solitario.
A través de vigilias y gramáticas,
De la jungla de las declinaciones,
Del diccionario, que no acierta nunca
Con el matiz preciso, fui acercándome.
Mis noches están llenas de Virgilio,
Dije una vez; también pude haber dicho
de Hölderlin y de Angelus Silesius.
Heine me dio sus altos ruiseñores;
Goethe, la suerte de un amor tardío,
A la vez indulgente y mercenario;
Keller, la rosa que una mano deja
En la mano de un muerto que la amaba
Y que nunca sabrá si es blanca o roja.
Tú, lengua de Alemania, eres tu obra
Capital: el amor entrelazado
de las voces compuestas, las vocales
Abiertas, los sonidos que permiten
El estudioso hexámetro del griego
Y tu rumor de selvas y de noches.
Te tuve alguna vez. Hoy, en la linde
De los años cansados, te diviso
Lejana como el álgebra y la luna.
Jorge Luis Borges
en El oro de los tigres, 1972.
Qui la versione recitata da Vicente Aboites.
Alla lingua tedesca
La lingua castigliana è il mio destino,
Il bronzo di Francisco de Quevedo,
ma nella lenta notte camminata
mi esaltano altre musiche più intime.
Una mi è stata data dal mio sangue –
voce di Shakespeare e della Scrittura –
altre dal caso, sempre generoso,
te, invece, dolce lingua di Germania,
ti ho scelta e ti ho cercata, solitario.
Attraverso grammatiche e nottate,
il dizionario che non centra mai
l’esatta sfumatura, l’ardua giungla
delle declinazioni, venni a te.
Le mie notti son piene di Virgilio,
ho detto altrove, avrei potuto dire
di Hölderlin e di Angelus Silesius.
Heine mi ha dato i suoi alti usignoli;
Goethe, la sorte di un tardivo amore,
insieme mercenario e indulgente;
Keller, la rosa che una mano lascia
nella mano di un morto che l’amava
e che non saprà mai se è bianca o rossa.
Sei tu il tuo capolavoro, lingua
di Germania, per l’intrecciato amore
dei termini composti, le vocali
aperte, per i suoni che permettono
lo studioso esametro del greco
e il tuo rumore di selve e di notti.
Ti ho avuta qualche volta. Oggi, al confine
degli anni affaticati, ti intravedo
lontana come l’algebra e la luna.
Jorge Luis Borges, Al idioma alemán, trad.it, in Borges, L’oro delle tigri, a cura di Tommaso Scarano, Adelphi, Milano 2004, 66-69
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