Giotto,
La rinuncia ai beni terreni, Assisi, Basilica superiore di San Francesco (particolare)
Nella tensione e nel costante dialogo tra Anmut e Gnade si manifestano la grazia e la Grazia. Un passaggio dal capitolo Con lievi mani de Il flauto e il tappeto di Cristina Campo si rivela, come accade spesso con i suoi scritti, illuminante.
“Si direbbe che la grazia sia la materia prima della Grazia e indubbiamente i santi avventurieri, i lucenti eroi di fiaba con lieve errore, con lievi mani gettarono la vita nell’Immutabile erano tagliati di quella stoffa. Joy, largüeza, proeza – i canoni della cortesia provenzale informano tutta intera la giovinezza di Francesco d’Assisi. I suoi compagni lo ricordavano «prodigo, cauto mercante ma munificentissimo, altero e generoso, leggero e non poco audace, superiore in grandezza d’animo, ricco in liberalità». Nel sogno della conversione vide unicamente simboli cavallereschi. Convertito, richiesto dal padre dei suoi averi e citato dinanzi al vescovo, dispiegò una sprezzatura smagliante spogliandosi nudo in pieno episcopio e gettando a terra le vesti. (Il vescovo s’intonò mirabilmente coprendolo col suo manto.
Certo l’uomo che da un tetto buttava giù con furia angelica tegole e mattoni per ricondurre la mente fuorviata dei monaci alla necessità del tetto aereo, casuale, delle mura di lievi giunchi, da disfare appena fatte, che in una cella di Greccio scaraventava sulla nuca del confratello il cuscino nel quale il maligno aveva preso dimora; che nel convento delle Clarisse, una Quaresima, tracciava al centro della sala del Capitolo un cerchio con la cenere, vi si prostrava nel mezzo e se ne andava senza proferire parole, era quello stesso uomo: divenuto «semplice non per natura ma per grazia» - anche questa una possibile definizione della sprezzatura quando abbia toccato il suo livello più trasparente. E la stessa gentilezza con cui nel secolo «teneva conto della condizione di ognuno» lo rese raggiante raggiante signore d’anime quando, come succede, non gli importò più di possederle. “
(Cristina Campo, Gli imperdonabili, Milano 1987, 108-109)
Una annotazione: il titolo che Cristina Campo dà al capitolo è una citazione dal primo atto del libretto d'opera Il Cavaliere della Rosa (Der Rosenkavalier) di Hofmannsthal. La Marescialla, principessa Werdenberg detta Bichette (Marschallin Fürstin von Werdenberg), rivolge queste parole al suo amante, Ottavio (Octavian), detto Quin-Quin:
Leicht muß man sein:
mit leichtem Herz und leichten Händen,
halten und nehmen, halten und lassen ...
Die nicht so sind, die straft das Leben und Gott erbarmt sich ihrer nicht.
La bella traduzione del libretto nel volume della collana I Meridiani che raccoglie Narrazioni e poesie di Hofmannsthal è di Ottone Schanzer (il brano citato è a pagina 348). Propongo qui invece la mia 'lettura' di questo brano:
Lievi occorre essere:
con lieve cuore e lievi mani,
tenére e prendere, tenére e lasciare…
Color che così non sono, la vita li punisce e Dio non ha pietà per essi.
Anna Maria Curci, 20 marzo 2010
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