La strada che percorro leggendo Il futuro sospeso di Ottavio Olita ha sentieri e diramazioni che scoprono radici, rivelano storie e dispiegano lessico familiare, illuminano ricordi di luoghi e volti, dischiudono regioni custodite nella coscienza.
Non mi soffermerò oggi sugli occhi di Pietrina, che rischiarano più di un momento del libro e che ritornano spesso nei miei pensieri, in due immagini estive: 1964, in Calabria, allorché una bimbetta di tre anni soggiornava in una casa grande e fresca, circondata da premure di zia e cugini dolcemente inusuali per l’eterna primogenita, e 1986, a Roma, in un giardino dove veniva servito l’aperitivo prima di un banchetto di nozze (quelle di Mutter Courage con Don Quijote senior).
Resisto, oggi, alla tentazione di lasciar parlare “Antonio”, “Ada”, “Rina” – il gioco delle nomenclature ha un’eco persistente – personaggi del romanzo, che in questi giorni, nelle loro affettuose telefonate, non mi fanno mancare le premure alle quali mi avevano abituato quando erano giovani, giovanissimi.
Riporterò invece un brano del romanzo che ne conferma, oltre alle innumerevoli affinità che vanno ben oltre i legami di parentela, il solido impianto storico.
“Quando 45 anni fa Gigi Riva, il giovane orfano lombardo adottato dall’isola, cominciò a ricambiare l’amore ricevuto segnando caterve di reti, portando il Cagliari a vincere lo scudetto e conquistando la palma di miglior goleador di tutti i tempi della nazionale di calcio, divenne simbolo di riscatto, di orgogliosa affermazione di dignità, di radicamento, di attaccamento non solo ai colori di una società sportiva, ma ad un’intera regione. Gli emigrati affollavano gli stadi continentali e Riva – che aveva la sensibilità giusta per capire quel che stava accadendo intorno a lui e al suo Cagliari – al termine delle partite faceva di tutto per incontrarli. Quel campione, che ha gelosamente custodito il suo accento lombardo, nonostante i decenni di residenza in Sardegna, ha anche scelto per sempre Cagliari, la città attraverso la quale fa lunghe e serene camminate, l’eterna sigaretta in bocca, scambiando di tanto in tanto qualche chiacchiera con chi, con grande discrezione, lo ferma per stringergli la mano.
Gli eredi di quegli emigrati oggi sono protagonisti in modo diverso. Non acclamano più un simbolo forte, ma chiamano il mondo politico, culturale, economico sardo a dare risposte, non tanto ai loro problemi, ma a quelli, sempre gravi, dei loro corregionali che continuano a vivere nell’isola. È questa sensibilità che mi affascina e che vorrei venisse raccontata bene a tanti sardi distratti che a volte dimenticano quel mezzo milione di fratelli sparsi per il mondo e che non rinnegano mai le loro radici”.
Ottavio Olita, Il futuro sospeso, CUEC, Cagliari 2009, 161-162
P.S. Don Quijote senior, primogenito di un nativo di Bosa che, per una mescolanza di casualità e scelta, visse nella capitale, sottoscrive ogni parola del brano di Antonio Maglietta/Ottavio Olita. “Insondabili sono le trame…”
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