Pensavo di avere un’autentica sorpresa per le ragazze: i costumi per il saggio di fine anno. In realtà, nel più rigoroso stile austerity, non si trattava altro che di semplici body – qualche volta mi scappa di chiamarli ancora pagliaccetti – in diversi colori. Saranno abbinati a collant in tinta e l’effetto dei colori in movimento, ne sono sicura, non sarà trascurabile. In quel momento ero certa anche dell’accoglienza che il gruppetto avrebbe riservato ai costumi e, lo confesso, mi ero accinta a scartarli e a sciorinarli con studiata noncuranza. A ripensarci ora, ammetto, mai e poi mai mi sarei figurata il dramma che la mia scelta avrebbe scatenato. Sì, perché, esattamente come aveva fatto Tiziana con i ruoli della Cenerentola, ho pensato anche ad assegnare ad ogni ragazza il colore del pagliaccetto da indossare. No, mi spiego meglio, in realtà non ho veramente riflettuto sulla scelta. A dir la verità, non potrei neanche dire di aver scelto a casaccio… ecco, la verità è che ho seguito una decisione suggeritami dall’istinto, o forse dettatami dallo stesso meccanismo della scrittura automatica.
Il fatto è questo: Maria Grazia si è vista assegnare il pagliaccetto lilla e Carlotta quello viola. Così, ancora una volta, le due rotonde sacerdotesse di Tersicore si sono ritrovate legate allo stesso destino: se con Tiziana si trattava di ruoli, con me si tratta di toni cromatici.
Difficilmente potrò dimenticare lo sguardo di Maria Grazia al momento della distribuzione dei pagliaccetti: un misto di rabbia e delusione, velato di rimpianto. Ho fatto ricorso all’espediente più inadatto: ho cercato di giocare d’anticipo – ma tanto lei non avrebbe mai osato dare voce al suo disappunto. Ho cominciato a parlare, anzi a straparlare della bellezza del lilla. Che stupida! Maria Grazia sa benissimo quanto sia bello questo colore, il problema è che è troppo chiaro per chi ha le forme generose. Questo, ovviamente, l’ho capito solo più tardi, quando ho riferito l’episodio alla mia amica Antonella. Conosco Antonella da quando eravamo bambine, giocavamo insieme, nel cortile del nostro palazzo. Era difficile separarci, allora, poi ci ha pensato l’accademia a portarmi via dai giochi con gli amici d’infanzia. Da piccola, Antonella tendeva alla pinguedine e dice sempre che chi è stato grasso da piccolo lo sarà, nella testa, per tutta la vita. Al sentirmi esporre l’accaduto con l’accompagnamento della mia ‘innocente’ perplessità è sbottata: “Ma che cosa ne puoi sapere tu, che sei sempre stata un grissino?”. A questa domanda retorica, ne è seguita un’altra di Antonella: “Quali altri colori avevi a disposizione?”. In quel momento, sì, solo in quel momento, un lampo blu elettrico mi ha attraversato la mente.
Devo essermi distratta, nel rincorrere i miei pensieri. Marco ha smesso di picchiare sui bonghi e le ragazze volgono a me i loro sguardi interrogativi. Sono ansiose di sapere com’è andata la prova generale, con tanto di costumi. Le vedo tutte, dinanzi a me, e il mio sguardo è attirato da tre colori: il blu elettrico che ha indosso Sveva, esile e carina, il viola del pagliaccetto di Maria Grazia, sua sorella maggiore, e il lilla del costume di Carlotta. Quei tre colori, la loro distribuzione, tra casuale e generosa – Carlotta si è poi offerta di scambiare il proprio pagliaccetto con quello di Maria Grazia – mi fanno intuire qualcosa, al quale non riesco a dare ancora un nome.
Anna Maria Curci, Agosto 2006-Giugno 2007
Ultimi commenti