Un dono che mi è giunto recentemente, graditissimo, da Annamaria Ferramosca mi ha riportato sulle tracce di una poesia che ho conosciuto tanti anni fa attraverso la lettura di Kein Ort. Nirgends (Nessun luogo. Da nessuna parte) di Christa Wolf. Si tratta della poesia di Karoline von Günderrode, poesia tanto alta quanto dimenticata, come accade troppo spesso, dai manuali di storia della letteratura tedesca per le scuole. Il libro che ho ricevuto in dono è Sconfinare. Percorsi femminili nella letteratura tedesca (Luciana Tufani Editrice, 2013) di Rita Calabrese, della quale ho avuto modo anni fa di apprezzare il contributo ricchissimo al volume Dello stesso padre, della stessa madre. Il passaggio che ha ridestato in me la gioia di un viaggio a ritroso nelle mie letture è questo:
«L'IO va assumendo connotazioni femminili, mentre il NOI comincerà ad abbracciare le donne dell'una e dell'altra parte, nella comune oppressione patriarcale e nella stessa costruzione d'identità.
Dall'intreccio di queste tematiche nascono, strettamente collegate tra loro, L'ombra di un sogno, antologia delle opere di Karoline von Günderrode e il racconto Nessun luogo. Da nessuna parte, in cui la stessa Günderrode è protagonista insieme a Heinrich von Kleist. Le due opere segnano la riscoperta di questa grande voce poetica del romanticismo, morta suicida nel 1806, con modalità e linguaggi differenti. L'ombra di un sogno è opera germanistica che si configura come esemplare lezione di metodo a segnare una vera e propria rottura del canone letterario classicocentrico lukácsiano della RDT e l'inserimento del Romanticismo, ma soprattutto la rilettura di una voce poetica - e in questo Anna Seghers fa da punto di riferimento - lacerata tra corpo di donna e virile talento poetico, mentre Nessun luogo. Da nessuna parte mette in scena l'incontro fittizio, ma molto verosimile, tra i due poeti suicidi. In filigrana, nel dramma di intellettuali costretti dopo le speranze della Rivoluzione Francese, a «battere a sangue la fronte», come scriveva A. Seghers a Lukács negli anni '30, contro il muro di una società repressiva e finiti suicidi, pazzi, esuli, comunque disperati, si riflette il dramma degli intellettuali della RDT.» (Rita Calabrese, Sconfinare, pp. 182-183)
I miei incontri con la letteratura di lingua tedesca sono non di rado accompagnati dall'attività di traduzione. Questo è avvenuto anche con Karoline von Günderrode, della quale propongo qui le tre quartine di Arianna a Nasso, nell'originale e nella mia traduzione.
Ariadne auf Naxos
Auf Naxos Felsen weint verlassen Minos Tochter.
Der Schönheit heisses Flehn erreicht der Götter Ohr.
Von seinem Thron herab senkt, Kronos Sohn, die Blitze,
Sie zur Unsterblichkeit in Wettern aufzuziehn.
Poseidon, Lieb entbrannt, eröffnet schon die Arme,
Umschlingen will er sie, mit seiner Fluthen Nacht.
Soll zur Unsterblichkeit nun Minos Tochter steigen?
Soll sie, den Schatten gleich, zum dunklen Orkus gehen?
Ariadne zögert nicht, sie stürzt sich in die Fluthen:
Betrogner Liebe Schmerz soll nicht unsterblich seyn!
Zum Götterloos hinauf mag sich der Gram nicht drängen,
Des Herzens Wunde hüllt sich gern in Gräbernacht.
Arianna a Nasso
Sugli scogli di Nasso piange la figlia di Minosse abbandonata.
L’ardente supplica della bellezza giunge all’orecchio degli dei.
Giù dal suo trono invia il figlio di Crono i fulmini
A sollevarla in tempeste all’immortalità.
Poseidone, d’amore acceso, già spalanca le braccia,
La vuole cingere, con la notte dei suoi flutti.
Ascenderà ora la figlia di Minosse all’immortalità?
Discenderà, pari alle ombre, all’Orco tenebroso?
Non esita Arianna, si getta tra i flutti:
Lo strazio dell’amor tradito non sarà immortale!
Non è gradito al cordoglio spingersi su alla sorte degli dei,
Piace alla piaga del cuore avvolgersi in notte sepolcrale.
Karoline von Günderrode
(traduzione di Anna Maria Curci)
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Qui è possibile leggere la traduzione di Camilla Miglio.
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