La Versione di Giuseppe
Poeti per don Tonino Bello
Cristina Bove, Doris Emilia Bragagnini, Simonetta Bumbi
Marilena Cataldini, Anna Costalonga, Fernando Della Posta
Margherita Ealla, Annamaria Ferramosca, Fernanda Ferraresso
Giancarlo Locarno, Abele Longo, Domenica Luise
Malos Mannaja, Nina Maroccolo,Vincenzo Mastropirro
Antonella Montagna, Stefano Giorgio Ricci, Antonio Sabino
Iole Toini, Pasquale Vitagliano, Carmine Vitale
Edizioni ACCADEMIA di TERRA d'OTRANTO
Collana NEOBAR
“Chi sa che qualcuno, complice la poesia, non venga più facilmente indotto a cambiare genere di vita.” Questo è l’auspicio formulato da don Tonino Bello nella Premessa a un volumetto che ha fatto storia (Antonio Bello, La carezza di Dio – Lettera a Giuseppe, Edizioni La Meridiana, Molfetta 1997): l’invito è stato raccolto, su iniziativa di Abele Longo, che di don Tonino è stato studente, da ventuno poeti provenienti da diverse regioni italiane.
Ne è nata una antologia che dell’omaggio fa un’arte, perché scandaglia e articola a più voci, piene, sottili e tutte intense, in versi e in prosa, i temi affrontati con chiarezza e vibrante impegno da don Tonino già alla fine degli anni Ottanta del secolo scorso. Erano gli anni del trionfo dell’effimero, dell’edonismo reaganiano, del quale l’Italia sedicente cattolica si era impossessata con la ricorrente trasformistica sconsideratezza, come aveva mostrato una pellicola della quale nel 1985, all’epoca della sua uscita, in pochi avevano colto la lucidità profetica: La Messa è finita, di Nanni Moretti. Quando a don Tonino venne chiesto di intervenire a un convegno giovanile ad Assisi nel 1987 – il tema era “Catturati dall’effimero” - con una relazione conclusiva dal titolo “Condivisione e gratuità nella società dell’usa e getta”, decise di optare per la poesia, nello spirito di quella, realmente creatrice e sovversiva nel senso più alto del termine, del Magnificat, che rovescia le carte in tavola e non le manda a dire contro i guerrafondai di turno: “Ho capito: quel tuo sguardo vuol dire: mi fate pietà. Altro che usa e getta. Valicando davvero ogni limite, avete invertito la frase in getta e usa, visto che siete così abbietti da snaturare perfino l’intima essenza della carità, piegandola alla vostra libidine di possesso” (La carezza di Dio, p. 15)
Proprio di quella testimonianza di poesia ‘sovversiva’ hanno fatto tesoro i ventuno poeti de La Versione di Giuseppe. Ho letto i loro contributi come un caleidoscopio ricco di esperienze vissute, testimonianze di autentica individualità e, insieme, di afflato collettivo, nel loro riprendere e intrecciare diversamente i fili offerti con soave fermezza da don Tonino Bello.
Ecco alcuni passaggi dall’antologia che va letta, scoperta, esplorata nella sua interezza, non ultimo nelle note biografiche che gli autori hanno scelto per presentarsi.
Fernanda Ferraresso
Me ne sto all’ultima fila
Me ne sto all’ultima fila, poco prima dell’uscita. Un foglio piegato in mano e ascolto.
- Ma se oggi qui da noi
le botteghe artigiane sono pressoché sparite non è solo
perché non si genera più e neppure perché non si ripara più nulla.
È perché non c’è più tempo per la carezza.-
Mi venisti incontro così
pensai. Ma non eri tu.
La tua voce si era fatta larga e vicinanza
per questo interrogavo le parole per toccare
di te il corpo di creta.
Il pellegrino l’errante aveva già spalancato il legno
la porta si era fatta cardine in un segno
miracolo d’essere qui senza salvare
il corpo già grembo nel grembo da tempo
(p. 10)
Margherita Ealla
Anche scolpendo
C'è legno e vivo: tutto si genera
a nudo dallo stillicidio del luogo
che svena la mano di acqua.
Ma un'ascia rompe le ossa
e tutto più in fretta e molto poi sgorga
salendo, un nodo di tempo
chiude il passaggio
un cerchio del tronco.
(p. 14)
Cristina Bove
Non era felicità nemmeno quella
La culla era un cassetto del comò
la bambola di pezza
anzi di cartapesta
aveva gli occhi disegnati blu
i capelli di stoppa
e mia sorella la ninnava a sera
io no
facevo finta d’esser grande
volevo solo leggere e imitare
mia nonna che faceva la frittata
e mi faceva sbattere le uova
La poca vita andava condivisa
con le amichette della stessa scala.
Ma c’era un’assoluta povertà.
Allora mi domando
oggi che abbiamo tanto
e questo tanto non ci basta mai
dov’è che abbiamo errato?
Visto che non è certo il capitale
a farci progredire
se viene tolto al povero e arricchisce
la curia il governante ed il banchiere.
(pp. 26-27)
Domenica Luise
Questo è il grido del mio buco nero
da una vita di radioattività
materiale dove l'anima affonda.
Dove sei? Ho freddo.
Tu che sai levigare i cuori di legno
per renderli pronti alla carezza, ma
ci sono troppi trucioli (ho paura anche, preferisco
dirtelo all'orecchio
e questa poesia nessuno la legge
né la vede, dicono
incomprensibile. Ci sei?).
(p. 39)
Pasquale Vitagliano
Rimpianto
Se Dio può essere donna,
perché un padre non può essere madre?
Così non sarei stato lasciato solo
all’inizio della storia,
perché tutto era stato scritto.
Neppure si sa quando sono morto,
forse nemmeno a metà del viaggio.
Mentre voi realizzavate la profezia,
sono sparito senza rimorso per ritrovarmi
santo in una vita che non ho vissuto.
Quanto avrei pagato per stare là,
ad addolorarmi più di una madre,
a tirarti giù senza più pietà per me,
a seppellire un figlio non putativo.
Sono finito invece sulle icone lontane,
stilita incomodo dentro un presepe altrui,
colonna fuori del tempio estraneo.
(p. 62)
Anna Costalonga
Non sei il pianeta
di chi storcendo l'occhio
confonde la gazza
querula ladra d'ogni invidia
con il flebile colibrì
impollinatore d'affetti
Sei tu l'ibrido
che scava
una terra infertile
- non ha mai fiori
oltre a quest'eringi
appuntiti
vivi a metà
e metà secchi
(p. 72)
Simonetta Bumbi
ho riflettuto assai, mentre camminavo, e mi guardavo attorno e interno al dentro. allora c’era un’ora, in cui tutti si riunivano alla cena. era, l’incontro dei familiari, e dei racconti di tutte quelle ore fuori, a lavorare. e si portava in casa l’esperienza, e le parole erano pietanza. ora solo silenzi, e sedie senza posti a sedere, ché tutti rincorrono la fretta, per non vedere. (p. 75)
Concludo la serie dei passaggi scelti con la poesia che, per ragioni affettive ancor prima che biografiche, mi ha toccato il cuore. Il titolo è una frase che mio padre era solito ripetere, nello stesso dialetto ruvese delle sue origini e i cui suoni mi ha lasciato in eredità. A proposito di suoni, non è un caso che l’autore, Vincenzo Mastropirro, sia musicista, attivo, tra l’altro nella Banda di Ruvo di Puglia. In ogni caso, ogni volta che la leggo a voce alta, sono voci familiari che risuonano alla mente.
Vincenzo Mastropirro
U munne è ‘na rote
Quande ère meninne
mamme me dài la mone
pe nanne famme cadàje.
Mo ca è fatte vècchie e strippiòte
-cume disce ièdde- so èi
ca la porte a mone a mone cume ‘na menìènne.
Acchessèje m’arrecòrde du vescheve ‘bbune
de don Tonine
-cume le piaciaje fasse chiamò-.
Prime ère idde ca abbrazzài la gìènde
specie le malòte, le poveridde,
l’abbandenòte, l’uteme du munne.
Po’ fumme niue
a stalle attùrne, ad ammandenìue
‘nanze alla soffèriènze de la malatèje.
U munne è ‘na rote
c’aggèire sènza fermàsse me.
Facimele aggerò ‘bone, sennome sìèmbe
e damene la mone tutte ‘nzime pe nan’ cadaje
pe nan’ cadaje sope a re ‘nudde.
Il mondo è una ruota
Quando ero bambino/mamma mi dava la mano/per non farmi cadere//Ora che è
diventata vecchia e storpia/-come dice lei- sono io/ che la porto mano nella mano
come una bambina.//Così mi ricordo del vescovo buono/di don Tonino/-come
amava farsi chiamare-.//Prima era lui che abbracciava la gente/specie i malati, i
poveri, gli abbandonati, gli ultimi del mondo.//Poi fummo noi/a stargli intorno, a
reggerlo/ di fronte alla sofferenza della malattia.//Il mondo è una ruota/che gira
senza fermarsi mai.//Facciamola girare bene, sogniamo sempre/e diamoci la mano
tutti insieme per non cadere/per non cadere sul niente. (pp. 20-21)
http://neobar.wordpress.com/poeti-per-don-tonino-bello/
Anna Maria Curci
24 agosto 2011
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