Luigi Simonetta, Acquerello
In chiusura d'anno, nel dicembre 2014, ho pubblicato qui 25 quartine di endecasillabi, che hanno attraversato l'anno da poco trascorso. Qualche giorno fa ho ricevuto in dono da Fernanda Ferraresso una sua lettura dei 25 componimenti su Carte Sensibili, qui. Oggi mi giunge un altro graditissimo dono, la lettura di Antonio Scavone, che pubblico con gioia.
Antonio Scavone
I 25 Elfsilber di Anna Maria
Un anno passato pericolosamente, o con fastidio, è questo il resoconto del ricordo e della memoria, dell’invettiva e dell’amarezza, dei 25 endecasillabi che Anna Maria Curci ha dedicato al suo sgomento, alla delusione, a quella superstite insofferenza che non abbandona mai chi cerca, tenta, trova ed esprime il modo di insorgere e profetare o, forse, semplicemente di esistere, vivere.
Sono 25 puntate di una cronistoria sorgiva e passionale, come se l’autrice, poetando di quanto abitualmente le succede intorno, volesse riscoprire per ogni volta la molestia di persone ed eventi, senza perdere per questo l’integrità di se stessa, messa a dura prova dall’approssimazione e dalla pochezza dei suoi simili più che dei suoi dissimili. È un’ode di 25 stanze, una laica via crucis di 25 stazioni, è un grido, un monito, il presagio di infiniti altri limiti.
In questo sfogo passionale di sfiducia, Anna Maria non si lascia sopraffare dall’abbandono e dalla maniera: guarda e scrive con distacco umorale le cose e le persone, gli eventi e i sentimenti e intanto mette tutto in versi, in versi amari e ispidi come scaglie di vetro, in versi fluttuanti come le onde di un’interminabile risacca. Se il fine di questi endecasillabi è manifesto e prevedibile (sconcerto, ripudio), è da definire il modo, lo stile di questa denuncia: un modo e uno stile poetico, certo, ma costruito per quali intenzioni, con quale spessore?
Le intenzioni e lo spessore si rivelano con la padronanza diremmo chirurgica dell’esplorazione antropologia e culturale, psicologica e letteraria. Gli endecasillabi hanno il passo trattenuto (o l’aspirazione taciuta e mascherata) dell’epigramma: in ogni quartina il lavorìo della sintesi affabulatoria nasce dall’indignazione dell’accusa e approda e intende approdare alla laconicità dell’epigrafe.
E tuttavia l’autrice si premura di spiegare l’implosione che ha covato per un anno intero, di riferire (più che di alludere) fatti e comportamenti, modi d’essere e modi di dire. Ma scrivere versi non può ridursi ad una nomenclatura di disagi ed ovvietà: richiede attenzione, corposità, proiezioni libertarie più che liberali. Di qui il gioco controllato delle assonanze, enjambements, scoppi di ossimori che rendono palese l’animo e tentacolare il verso. La caparbietà del progetto non regge, non può essere esaustivo per un’intrinseca proprietà di un verso che rincorre “con sprezzo del pericolo” la sua intelligibilità. Ne è consapevole l’autrice (chissà quanti altri 25 endecasillabi ha in serbo) e ha il pregio di concludere e configurare il suo esprit con una franca e lucida rappresentazione nel ventiquattresimo endecasillabo:
“...
libri sghembi e vestigia ammonticchiate
sono compagni d’ore e d’omissioni
...”.
Quando il poeta si autoritrae nella pienezza del suo tormento, c’è da riflettere, da non dimenticare. Anna Maria Curci scrive con spregiudicatezza anche per noi, per i nostri endecasillabi incompiuti e traditi nelle ore dell’abbandono e della fuga.
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