Nina Maroccolo, Malestremo
Nota di lettura di Anna Maria Curci
Il percorso che tocca Sedici viaggi nell’Altrove – così recita il sottotitolo di Malestremo, terza e conclusiva tappa della trilogia che Nina Maroccolo ha iniziato con le poesie di Illacrimata (2011) e proseguito con il romanzo Animamadre (2012) – è introdotto da un testo, Cambio l’incipit, il quale porta con sé, mescola, dosa, modula, alterna i due movimenti principali di riconoscimento e capovolgimento che ne animano la composizione. Letture che provengono da un’età nel quale appare spontaneo il processo di identificazione con gli eroi, umani e ferini, duettano con classici non più innocui, con miti della modernità occidentale e con la sapienza orientale conosciuta e misurata. Colei che compie i viaggi nell’Altrove padroneggia saldamente la barra del timone e le forme molteplici di cui narra le manifestazioni; il ‘ma’ avversativo mette in guardia da sbrigative semplificazioni circa le modalità espressive: «Una femmina sola, tigresca, un peach blossom purpureo. Scrivo→ma canto. Canto→ma scrivo. Scrivo→ma disegno. Teatralizzo la parte migliore di me stessa » → ma sono quel che sono. Dunque, prendetemi così, sincera e imbarazzante. Comune neorealista, nostalgica rétro. […] Figlio tigrottini→ ma poi mi manco di spirito urbano.» Così, l’invettiva di Karl Moor ne I masnadieri di Schiller diventa qui lucida constatazione e punto di partenza: «Uno schifo di secolo: s’oscurerà il pianeta per protesta». Del Faust contemporaneo afferma: «Non c’è Dio che tenga. Faust piange.»
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