Se Cassandra è Celeste,
è vestita di nero
è scarmigliata e sciatta
è fradicia di pioggia.
A vuoto profetizza,
scombinata com'è.
«Sfiduciata speranza»
apre gli occhi e li chiude.
Nell'alba successiva
le grida stropicciate.
Razzia, rastrellamento
nel cielo grigio topo.
(Anna Maria Curci)
«Tutti, fossimo in quell'epoca vicini a Roma, o in Roma o lontani, abbiamo in seguito cercato di raffigurarci le strade di quel quartiere, evocandole nella nostra memoria, o disegnandole nella nostra immaginazione. Tutti, quando camminiamo oggi in quel quartiere, ripensiamo a quel 16 ottobre, quando l'odio e la sventura scesero su quelle strade, su quella gente sprovveduta, affaccendata, ignara.»
Così scrive Natalia Ginzburg nella prefazione all'edizione einaudiana di 16 ottobre 1943 di Giacomo Debenedetti. Il testo fu pubblicato la prima volta nel dicembre 1944 sulla rivista “Mercurio” di Roma, in un numero dedicato alla Resistenza; fu subito ripreso da “Libera Stampa” di Lugano; nel 1947 Jean Paul Sartre lo fece tradurre per “Temps modernes”; nel 1955 la rivista “Galleria” lo mise al centro del suo fascicolo per il decennale della Liberazione. Dall'edizione Einaudi del 2001 riporto, oggi, 16 ottobre 2013, questo passaggio:
«E gli ebrei dormivano nei loro letti verso la mezzanotte del venerdì 15 ottobre, allorché dalle strade cominciarono a udirsi schioppettate e detonazioni. Dal 25 luglio, quando Badoglio aveva messo il coprifuoco, e più ancora dall'8 settembre, quasi ogni notte si sentivano spari per le vie [,,,], Nelle case ormai tutti sono in piedi. I vicini si riuniscono per farsi coraggio, e viceversa non riescono che a farsi paura a vicenda. I bambini strillano. Che si può dire ai bambini quando non si sa che dire a se stessi? Stai buono, ora vanno a Monte Savello, vanno a Piazza Cairoli, tra poco tutto finisce, vedrai. Ma non finisce affatto. [,,,] Verso le 4 del mattino, la sparatoria si placò. Faceva freddo, l'umidità della notte piovosa attraversava i muri.[,,,] Pare che il primo allarme l'abbia dato una donna di nome Letizia [,,,]. Verso le 5, costei fu udita gridare: “Oh Dio, i mamonni!” “Mamonni”, in gergo giudío-romanesco significa gli sbirri, le guardie, la forza pubblica. Erano infatti i tedeschi che, col loro passo pesante e cadenzato (conosciamo persone per cui questo passo è rimasto il simbolo, lo spaventoso equivalente auditivo del terrore tedesco) cominciavano a bloccare strade e case del Ghetto.»
(da: Giacomo Debenedetti, 16 ottobre 1943. Prefazione di Natalia Ginzburg, Einaudi, Torino 2001, pp. 19-23)
Qui il documentario, realizzato da Marina Piperno a commento del testo di Giacomo Debenedetti. Riconosciamo nel commento la voce di Arnoldo Foà.