I ‘canti per il tragitto’ di Stefania Crozzoletti.
Nota di lettura e traduzioni di Anna Maria Curci
I “canti per il tragitto” – così leggo la poesia di Stefania Crozzoletti nella quale i termini “viaggio”, “cammino”, “passeggiata” ricorrono con limpida frequenza - hanno il sapore sicuro del cibo austero custodito nel tascapane e consumato durante le sosta. Sapore austero, non bacchettone: al gusto piccante della boutade, alla sferzata aspra del monito, allo sgomitare di sensazioni, Stefania Crozzoletti oppone la forza quieta del meditare su presente e memoria. La riflessione su meccanismi e dinamiche dell’agire e interagire umano, sul gioco spesso contradditorio di intenzioni e omissioni, trova nell’uso del modo condizionale non solo ampiezza e precisione espressiva, ma anche l’aggancio a una prospettiva ‘altra’: intenzionalmente inusuale, inattuale, ma alternativa alla resa, al “presente che taglia il mostro in due senza ferite evidenti” (clessidra). Centrale in clessidra, iniziale in bersagli, conclusivo in prima di tutto questo, il condizionale ‘dovremmo’ dipana tutto il repertorio di significati che la lingua italiana gli attribuisce e si collega, ancora una volta con calma fermezza, a un ‘noi’, insieme mittente e destinatario, punto di partenza e destinazione. L’esortazione non è mai retorica, ma si affianca, nel cammino, a una messa in discussione dei rapporti di forza esistenti.
Nel capovolgimento dell’usuale, dell’ovvio, nella rivolta alla “legge che impone l’oblio” (canto d’agosto) assume particolare rilevanza la figura del bambino “seduto accanto a mazzi di spine” (prima di tutto questo), della nascita, della “follia infante”, della ri-fondazione (“la mia piccola madre di carne”, canto d’agosto) di mondo e parola. Un punto di vista, questo, che accomuna la poesia di Stefania Crozzoletti a quella di Lutz Seiler di nel latino dei campi.
Nel tragitto verso est, volontà e intenzione di identificare, portare alla luce vecchi e nuovi confini, non più considerati immutabili (“fiaccare i confini fascisti”, verso est) e, in una veste sovversiva senza retorica, la pazienza, corroborano il cibo austero e sicuro del tascapane. Il canto è nuovo.
clessidra
vuoi riempirti di tutto il tempo
ci provi, almeno, usando cautela
ma lui ubriaco oscilla
si prende gioco della mira
oltrepassa perimetri, allunga gli arti
- annusando la tua confusione -
sparge intorno i figli interrotti delle possibilità
[stanco ti consegni
ti aggrappi agli occhiali nuovi
li rigiri tra le mani e pensi
è una fortuna non averli dimenticati
proprio oggi che c’è il sole]
bersagli
dovremmo abitare questa città di morti
accettarne le vene trafficate, l'orribile oscillazione
le facce gonfie di cerchi irrisolti
immersi in questo catrame trovare la forza di sorridere al barista
vedere in un angolo qualcosa che assomigli alla salvezza
[approssimarmi alla fine con confidenza
trattare i corpi con cura, brindare ai futuri radiosi]
in queste strade sporche, nel rumore che confonde
nell’odore della morte che va di fretta
in apnea, dovremmo lasciarci attraversare
diventare bersagli di attenzioni, ricettacoli di premure
senza rimandare mai a tempi migliori, aspettare
che la roccia si sciolga nell’eden e l’orizzonte diventi
uno stralunato scenario di pace
canto d’agosto
“Ricomporsi”
è l'invito, il suono che risveglia
“chiamare a raccolta i pezzi perduti nello spazio
circostante, dimenticati dalla storia”.
Confusi arrivano
al mio centro, si attaccano
come ferraglia sulla calamita
un disordine che fa male.
Si cercano mente e frammenti di corpo
che sono stati uno
nei rari momenti di grazia
[non reggono ora la fatica del riconoscersi].
“Serve soccorso, anime”
e chiamo a me le voci delle madri
eredità di parole in forma di conforto
acqua e cibo nei giorni di metallo.
Arriva il canto e incide la pelle
sorelle maggiori portano in grembo
buone domande che sono già risposte
“respira!”, dicono
“possiamo partire, ora”.
Cammino con la mia piccola madre
di carne, creatura di seta partorita dalle colline
senza parole per sé, senza il calore
“non dipendere mai da un uomo”
l’unica certezza, il suo dono
ma io li ho contati i suoi mille sì
detti sottovoce.
Vedi, se c’è una storia, questa è la radice:
desideri mai pronunciati, il dovere che sfiora
il martirio.
“Il tempo ripara con pazienza”
dice la legge che impone l'oblio
ma con che cosa teniamo unite le storie, le mani
se abbiamo solo corpi che spurgano finzioni.
Il canto d’agosto arriva da prati d'erba e ortiche:
è il respiro della nascita, infinito e puro,
il fiato lento e calmo delle madri che cullano.
prima di tutto questo
È una nascita la mattina che ha pelle trasparente,
lo specchio riflette bianche le ossa, il cuore
ha fratelli forti e sorelle devote.
I satelliti curvano senza affanno.
In pace, il giovane tutto lavora e non chiede sforzo,
invisibile moto segreto sotto la superficie del lago.
Il nero intorno agli occhi miopi è il fondo di un
pensiero circolare
[doveva essere prima, prima di tutto questo].
Si chiude e non parla, più tardi, l'involucro,
al fumo sputato dalle macchine sotto casa,
dietro le porte del treno abitato da troppe speranze
[i sogni dei più sono pratiche inevase].
Perché fuori è sempre buio, che sia partenza o arrivo.
Dal finestrino sporco, la vedi senza contorni e imperfetta
la vita fuori.
C’è quel vecchio dolore che non è più lama, ma pennello
che tinge a tradimento il giorno, setole dure che graffiano
dove la volontà è molle.
E c’è quel bambino seduto accanto a mazzi di spine,
urla, non smette la follia infante.
Non lo salva l’abbraccio della madre, la preghiera.
Lei non conosce i fantasmi, non cattura il suo male.
Questo viaggio è un infinito urlo asciutto che non ci contiene.
Allora dovremmo piangere tutti, un coro di lacrime,
un diluvio che ci annienti, o che ci disseti, ci salvi finalmente
da queste attese nel deserto, dai diavoli domestici.
verso est
È un po' come allontanare
le ore scontate, le attese:
nulla arriva o torna.
Lo sguardo lavora contro
se non compie tutto il giro.
Sparecchiare, sistemare casa
togliere i quadri dal muro
[oh, le care rappresentazioni!]
abbracciare i parenti
fiaccare i confini fascisti
chiudere a chiave la porta
attaccarci il biglietto:
“nessuno qui è speciale”
incamminarsi verso il primo
esercizio di vicinato
o l'ultima isola del tesoro
con o senza cane - poco importa
[si vive comunque].
Verso est, la mia passeggiata sottile.
nach Osten
Es ist ein wenig wie die vorausehbaren
Stunden, die Erwartungen zu entfernen:
nichts kommt an oder kehrt zurück.
Der Blick arbeitet dagegen,
wenn er nicht den ganzen Kreis macht.
Den Tisch abdecken, das Haus aufräumen
die Bilder von der Wand abzuhängen
[och, die lieben Verstellungen!]
die Verwandten umarmen
die faschistischen Grenzen ermatten
die Tür abschließen
darauf den Zettel hängen:
“niemand ist hier einzigartig”
sich auf den Weg zur ersten
Nachbarausübung
oder zur lettten Schatzinsel machen
mit oder ohne Hund – das ist nicht so wichtig
[man lebt sowieso].
Nach Osten, mein dünner Spaziergang.
la pazienza
considera limite la plastica
eterna | ma non del tutto
si concede l'uscita | il passaggio
elogia il detrattore | il celeste contrario
die Geduld
betrachte den ewigen Kunststoff
als Grenze | aber nicht ganz
wird der Ausgang erstattet | der Übergang
lobt den Verleumder| das himmlische Gegenteil
Anna Maria Curci, 26 dicembre 2012
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Stefania Crozzoletti è nata e vive a Isola della Scala (Verona).
Ha pubblicato nel 2009 con Fara Editore la silloge Prima Vita (finalista al Concorso letterario Beppe Manfredi Opera prima, ed. 2009) e con Clepsydra Edizioni l'e-book La parte assente. Suoi testi sono contenuti nell'antologia “Poetarum Silva”, curata da Enzo Campi, Samiszdat 2010.