Ultimo tango a Sarajevo
Il novantaquattro, 8 marzo.
La Sarajevo degli amanti non si arrende.
Sul tavolo l’invito per il matinée di danza allo Sloga.
Naturalmente ci andiamo!
I miei pantaloni sono un po’ logori,
e la tua gonna non è proprio da Via Veneto.
Ma noi non siamo a Roma,
noi siamo in guerra.
Arriva anche Jovan Divjak. Dagli stivali si vede
che viene direttamente dalla prima linea.
Quando ti chiede un ballo sembri un po’ confusa.
Per la prima volta ballerai con un generale.
Il generale non immagina l’onore che ti ha fatto,
ma, a dire il vero, anche tu al generale.
Ha ballato con la donna più celebrata di Sarajevo.
Ma questo tango – questo è solo nostro!
Per la stanchezza ci gira un po’ la testa.
Mia cara è passata anche la nostra magnifica vita.
Piangi, piangi pure, non siamo in Via Veneto,
e forse questo è il nostro ultimo ballo.
(1994)
A venti anni dall'inizio dell'assedio di Sarajevo, una tragedia che, come scrive oggi Jacopo Ninni su Poetarum Silva, l'Europa fece finta di non vedere, ha senso e peso riascoltare dalla sua voce e rileggere la poesia di Izet Sarajlić, chiamato spesso "Kiko", che a Sarajevo sotto assedio aveva scelto di restare, fino all'ultimo, fino alla sua morte.
Testimone della pluralità, con la sua vita e la sua poesia, con le sue traduzioni dal russo, con la sua voce vibrante e instancabile, ha affiancato, senza più separarli, una città alla donna amata, così che non è azzardato scrivere che Izet Sarajlić sta a Sarajevo come Umberto Saba sta a Trieste.
A dieci anni dalla sua morte, avvenuta nel 2002, Einaudi ha pubblicato una sua raccolta di versi, Chi ha fatto il turno di notte, con prefazione di Erri De Luca, che con Izet Sarajlić aveva scambiato Lettere fraterne.