Nella quarta silloge di Rosaria Di Donato è lo stupore a soffiare sui versi, ad animare la meditazione. La parola prende quota, ma non dimentica la terra. L’abbandono fiducioso si affianca alla coscienza, le presta ali e speranza. La lirica che dà il titolo alla raccolta ha, in questo senso, tutti i connotati del manifesto programmatico:
lustrante d’acqua
riaccedere a ciò che ci è stato tolto
vuol dire avere le possibilità
non negate dell’ancora
avere il tempo svincolato da ipoteche
il sorriso intriso di attese
che l’anima desta schiude
al pensiero di nuovo infinito
sospeso tra orizzonti
lustrante d’acqua il mondo
rinato dal diluvio
accolto con battito d’ali
fluttuante al tatto e reso vivo
da un sonante disegno di colori
manto avvolgente profili stagliati
all’orizzonte assurti
monti protesi-volti
cime innevate maestose
raccolte al chiarore del giorno
come gocce di rugiada su un fiore
corolla di fresco mattino
dischiusa al nascente tepore
(p. 43)
Il desiderio di rifugiarsi nella nuova Gerusalemme, nella città di Dio, si accompagna alla critica inequivocabile allo scialo perpetrato quotidianamente, come avviene in
città
a volte viene
il desiderio di rifugiarsi
nella città di dio
celeste gerusalemme
di diaspro e lapislazzuli
fatta d’amore e sogno
con la porta stretta
un piccolo varco
per cui passano i giusti
quelli come bambini
fatti a somiglianza
resi semplici
qui viviamo invece
nel caos prolifico
a volte sfiorati
a volte assaliti dal male
a volte annientati
consumati dal nulla
fantasmi riempiono la mente
delitti impuniti
delitti perpetrati contro la vita
nulla vale l’essere umano
dal niente schiacciato
dal niente
qui viviamo costretti
consumiamo il non-pensiero
la folla ci opprime
chiederà mai qualcuno
ragione del senso
(p. 17)
Se è il moto ascensionale a prevalere in
tracce
stasera le nuvole
han forma di boomerang
il cielo promette bel tempo
annunzia un domani sereno
non v’è traccia
di buio nell’anima
(p. 35)
è la fatica il fardello esistenziale di chi vede e sente ben oltre ciò che (gli) altri vedono e sentono:
inquieto sentire
costa fatica la poesia
fatica d’essere
fatica d’esistere ogni giorno
rannicchiati alla vita
sospinti dall’inquieto sentire
illuminati da una luce
che altri non vedono
eppure c’è
si mostra
si manifesta
questo filo di parole
questo tessuto di volti
questo tappeto di cose
(p. 34)
Il confronto con la storia raccoglie gli indizi sconcertanti della cronaca (hina, p. 22) e li scruta alla luce del lascito della memoria (lager, p. 20; a pier paolo pasolini, p. 21).
Il bilancio, provvisorio perché con limpida onestà si apre alla ricerca ulteriore, è racchiuso nel titolo del componimento che leggo come salda sponda di approdo in questa raccolta e, allo stesso tempo, punto di partenza di altri viaggi:
altro ci vuole
seppure avessi la parola non direi
canterei piuttosto la speranza
disegnando su una tela l’infinito
componendo suoni e pause col silenzio
raccontando a gesti la mia vita
che raccolgo in fonde ceste di dolore
canto sonoro muto il divenire
la cronaca non aiuta a vivere
altro ci vuole
(p. 23)
Rosaria Di Donato, Lustrante d’acqua, Torino, Genesi, 2008
Rosaria Di Donato è nata a Roma dove vive e insegna in un liceo statale. Laureata in Filosofia ha pubblicato tre raccolte di poesia: Immagini, Ed. Le Petit Moineau, Roma 1991; Sensazioni Cosmiche, id. 1993; Frequenze d’Arcobaleno, Ed. Pomezia-Notizie, Roma 1999. Collabora a riviste di varia cultura e i suoi volumi si sono affermati sia in Italia sia all’estero, con giudizi critici, tra gli altri, di Giorgio Bárberi Squarotti, e traduzioni di Paul Courget e Claude Le Roy (riviste Annalese Noreal). Vincitrice di diversi premi di poesia.