Prima pagina del
Libro di Rut, da
Biblia Hebraica, edizione a cura di Rudolf Kittel, dono di
Giuseppe Giunti.
Rut e le lettere migranti
di Anna Maria Curci
Sto spigolando in terra straniera
come Rut, la moabita, a Betlemme
(a.m.c.)
Il primo incontro
Qualche anno fa, nell’ambito di un ciclo di incontri in biblioteca pensati nello spirito di Etty Hillesum: “…i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo” (1943), decisi di inserire, sia nel corso del pomeriggio dedicato alla nascita dei meccanismi di esclusione e al modello includente, sia in quello dedicato alla letteratura migrante, un brano biblico, tratto dal Libro di Rut. Il Libro di Rut, nella sua brevità, ha un significato centrale ai miei occhi, perché, nel suo ribadire la scelta dell’accoglienza, ne indica la sua presenza forte e chiara nella cultura ebraica e costituisce un ponte formidabile tra l’Antico e il Nuovo Testamento. L’evangelista Matteo (I, 5) nomina Rut nella sua Genealogia di Gesù e che Rut sia, insieme a tanti uomini, una delle poche donne menzionate in quel contesto, non è casuale. Rut, la moabita, sceglie di seguire la suocera Naomi (Noemi nelle traduzioni correnti) nella terra d’origine di lei. È una straniera, Rut, si muove, donna insieme a una donna più anziana di lei, da un paese patriarcale a un altro, nuovo per lei, ma sempre patriarcale. Quali sono le motivazioni che la spingono a questa scelta? Nello scegliere, quasi istintivamente, questo brano che non appare ai primi posti, per quanto mi è dato sapere, della hit parade catechetica, avevo seguito motivazioni affettive, in cima alle quali era il rimpianto per la ‘mia’ Naomi, partita per il suo viaggio più lungo qualche mese prima. L’affetto era corso avanti alla ragione e, come ebbi la sorte di constatare in seguito, aveva trovato la via giusta.
Così, quel 23 gennaio 2009, dopo aver dissertato su Vita in comune di Franz Kafka, L’ebreo di Andorra di Max Frisch e La grande migrazione di Hans Magnus Enzensberger come esempi rivelatori rispetto alla nascita dei meccanismi di esclusione, scelsi di introdurre il discorso sul modello includente, a tali meccanismi consapevolmente contrapposto, con questo brano dal secondo capitolo del Libro di Rut:
“Noemi aveva un parente del marito, uomo potente e ricco della famiglia di Elimèlech, che si chiamava Booz. Rut, la Moabita, disse a Noemi: "Lasciami andare per la campagna a spigolare dietro a qualcuno agli occhi del quale avrò trovato grazia". Le rispose: "Va', figlia mia". Rut andò e si mise a spigolare nella campagna dietro ai mietitori; per caso si trovò nella parte della campagna appartenente a Booz, che era della famiglia di Elimèlech. Ed ecco Booz arrivò da Betlemme e disse ai mietitori: "Il Signore sia con voi!". Quelli gli risposero: "Il Signore ti benedica!". Booz disse al suo servo, incaricato di sorvegliare i mietitori: "Di chi è questa giovane?". Il servo incaricato di sorvegliare i mietitori rispose: "È una giovane moabita, quella che è tornata con Noemi dalla campagna di Moab. Ha detto: Vorrei spigolare e raccogliere dietro ai mietitori. È venuta ed è rimasta in piedi da stamattina fino ad ora; solo in questo momento si è un poco seduta nella casa".Allora Booz disse a Rut: "Ascolta, figlia mia, non andare a spigolare in un altro campo; non allontanarti di qui, ma rimani con le mie giovani; tieni d'occhio il campo dove si miete e cammina dietro a loro. Non ho forse ordinato ai miei giovani di non molestarti? Quando avrai sete, va' a bere dagli orci ciò che i giovani avranno attinto". Allora Rut si prostrò con la faccia a terra e gli disse: "Per qual motivo ho trovato grazia ai tuoi occhi, così che tu ti interessi di me che sono una straniera?". Booz le rispose: "Mi è stato riferito quanto hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e la tua patria per venire presso un popolo, che prima non conoscevi. Il Signore ti ripaghi quanto hai fatto e il tuo salario sia pieno da parte del Signore, Dio d'Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti". Essa gli disse: "Possa io trovar grazia ai tuoi occhi, o mio signore! Poiché tu mi hai consolata e hai parlato al cuore della tua serva, benché io non sia neppure come una delle tue schiave". Poi, al momento del pasto, Booz le disse: "Vieni, mangia il pane e intingi il boccone nell'aceto". Essa si pose a sedere accanto ai mietitori. Booz le pose davanti grano abbrustolito; essa ne mangiò a sazietà e ne mise da parte gli avanzi. Poi si alzò per tornare a spigolare e Booz diede quest'ordine ai suoi servi: "Lasciatela spigolare anche fra i covoni e non le fate affronto; anzi lasciate cadere apposta per lei spighe dai mannelli; abbandonatele, perché essa le raccolga, e non sgridatela". Così essa spigolò nel campo fino alla sera; batté quello che aveva raccolto e ne venne circa una quarantina di chili di orzo. Se lo caricò addosso, entrò in città e sua suocera vide ciò che essa aveva spigolato. Poi Rut tirò fuori quello che era rimasto del cibo e glielo diede.”
La pienezza della Mikrà – questo è il termine in ebraico per la Scrittura, al contempo “Lettura” – ebbe l’effetto immediato di un silenzio assorto. Qualche mese dopo, tuttavia, quando l’argomento fu ripreso nel corso dell’incontro sulla letteratura della migrazione, il Libro di Rut era diventato per il gruppo degli “incontri in biblioteca” un punto di riferimento chiaro.
Piste di ricerca: il Libro di Rut nella traduzione di Erri De Luca
Ma la ricerca era solo iniziata, perché qualche tempo dopo, nel leggere la traduzione di Erri De Luca del Libro di Rut, mi fu dato modo di approfondire due questioni importanti e di aprire una strada ulteriore all’indagine su Rut e le lettere migranti.
Le due questioni, entrambe affrontate da De Luca nell’introduzione, riguardano l’una la presenza di Rut come terza straniera tra lo sparuto gruppo di donne menzionate nella Genealogia che apre il Vangelo di Matteo: si fa riferimento al dipinto di Caravaggio, andato perso a Berlino nel secondo conflitto mondiale, San Matteo e l’Angelo, nel quale Caravaggio immagina, ignorando volutamente il fatto che tutti e quattro i Vangeli fossero stati redatti in greco, l’evangelista Matteo, direttamente ispirato da un angelo con le fattezze femminili, curvo su un rotolo sul quale ha già vergato in ebraico le parole “Elle hattoledòt”, “Queste le generazioni” (ovvero l’inizio della Genealogia di Gesù); l’altra le caratteristiche formali del Libro di Rut, che lo rendono una tappa con connotazioni del tutto particolari nell’Antico Testamento:
“Il libro di Rut si svolge per intero all’aria aperta. È formato da quattro capitoli con 85 versi in tutto. Nell’originale ebraico ci sono 1286 parole, 4800 lettere. È libro di dialoghi: 55 versi appartengono a frasi pronunciate direttamente dai personaggi.”
La strada di indagine, invece, si è schiusa con l’esergo scelto da De Luca per la sua traduzione: si tratta del terzo verso della poesia In Ägypten di Paul Celan. Si trattava, per me, di riprendere la via prediletta dei miei studi universitari. In Celan, biografia e cammino poetico si sono intrecciati, anzi scontrati drammaticamente con la storia, non ultimo tramite la vicenda del suo incontro con Ingeborg Bachmann.
da: Anna Maria Curci, Rut e le lettere migranti
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