Gaja Cenciarelli, Sangue del suo sangue
Nota di lettura di Anna Maria Curci
Non è facile, una volta intrapresa, abbandonare la lettura di Sangue del suo sangue di Gaja Cenciarelli. È quello che è capitato a me, almeno. Sapevo che mi avrebbe atteso un viaggio nella storia contemporanea, con gli occhi di Gaja, con il suo sguardo diretto, terso, incurante di sbrigative e comode classificazioni di maniera. L’aspettativa non è stata delusa, anzi. Molto si è messo in moto, anzi, per usare un’immagine ricorrente nel romanzo, ha cominciato a camminare e non ha smesso più di farlo. Sì, perché alle associazioni esplicite, al ‘tema di Margherita’ che Gaja Cenciarelli ha scelto come motivo conduttore - sequenze e colonna sonora di C’era una volta in America - si sono affiancate altre associazioni, altre memorie, vivide, di sguardi e di letture, innanzitutto quelle di Luce D’Eramo e del suo romanzo Nucleo zero. Non si tratta della analogia, scontata, suggerita dal tema, il terrorismo, che accomuna i due romanzi pubblicati a trenta anni di distanza l’uno dall’altra. Mi riferisco qui allo sguardo lucido, consapevole, generalmente – e colpevolmente – liquidato come ‘spietato e cinico’. Ecco allora che si è messa in moto un’altra riflessione, quella sul significato degli aggettivi “spietato” e “cinico”. Entrambi si adattano, con “soave ferocia”, a Sangue del suo sangue. Non ci può essere pietas, né nell’accezione virgiliana, né in quella cristiana, da parte di Margherita; difficilmente ne troveremo tracce negli altri personaggi. Se anche per Massimiliano e Milla possiamo rintracciare le ragioni, come avviene per Margherita, in un’infanzia deforme, violata o distorta, nel caso dei fratelli Giovanna e Pierluigi, coppia di fratelli che ripropone nella sapiente sottotrama quella di Margherita e Massimiliano, l’assenza di pietas è assoluta, sciolta da ogni legame con traumi d’infanzia e marchiata ‘solo’ con il segno dei tempi, quelli odierni. Cinico è da intendersi qui nel suo significato originario, aderente alla filosofia dei Cinici. Il percorso di Margherita non è forse teso, in forma prima indistinta e sommessa, poi sempre più netta e ‘urlante’, verso l’indipendenza indicata dai Cinici come obiettivo? Proprio quello sguardo spietato e cinico, nell’accezione indicata, ha dato le ali alla lettura, l’ha condotta fino alla meta, il compimento della vicenda narrata. Nei Ringraziamenti, che ho letto sulla scorta di quella voracità che ricorre con frequenza nel romanzo, ho ritrovato, ancora, lo sguardo di Gaja, insieme al suo tributo a più di una “Margherita” della letteratura. Al novero ne aggiungo un’altra, che ha accompagnato la mia lettura, Margarete/Gretchen del Faust di Goethe. Anche le traduzioni che risalgono all’epoca in cui i nomi stranieri erano banditi non osano usare il corrispondente del diminutivo di Margarete, quel Gretchen usato da Goethe per il suo personaggio quando questo è al culmine della sua tragedia personale. Perché non lo fanno? Forse perché “Ritina” suonerebbe, più che un diminutivo, una versione riduttiva, distruttiva della dignità di chi porta questo nome? Non ho risposte a questa domanda, so solo che Gaja Cenciarelli fa emettere l’appellativo “Ritina” alle bocche distorte e deformanti dei genitori e del fratello di lei. Anche questo non mi sembra casuale.
Gaja Cenciarelli, Sangue del suo sangue, Nottetempo 2011