Tra i tesori di mia madre (sono tutti, rigorosamente, libri) spicca, anche per le dimensioni, un volume particolarmente prezioso: si tratta della monografia che Roberto Longhi dedicò a Caravaggio. La prima edizione di quella monografia risale a qualche anno prima della mia nascita. Anche quel libro, dunque, è uno dei segni più significativi della parte più consistente, ai miei occhi, di ciò che la mia genitrice portò in dote, oltre che allo sposo, alla famiglia numerosa che si sarebbe poi formata.
Quel volume ha sempre esercitato su di me un fascino che pervade zone anche a me ignote e delle quali avverto, a volte – è il kairós? – lo scorrere sotterraneo e tenace. Quando ero piccola, accostavo la sedia dai braccioli solenni alla libreria dello studio per portare giù con me, sulla scrivania solitamente preclusa, quel mondo di immagini. Prima ancora di visitarli – con ciclica ed entusiastica devozione – uno per uno nei luoghi della mia città natale che li ospitano, i quadri di Caravaggio hanno dominato i viaggi silenziosi degli occhi.
La lettura de Il silenzio degli occhi, terzo episodio delle indagini del commissario Ottavio Ponzetti, creatura di Giovanni Ricciardi, ha riportato, intatti nel loro gioco di illuminazioni e di varchi-sipari sull’altra dimensione, quella dell’oscurità, la forza di quelle opere, il fascino di quei viaggi. Perché? Perché, come scoprirà chi ‘viaggerà’ in questo libro, alcuni quadri di Caravaggio custoditi a Roma sono una chiave formidabile per la ricerca del commissario Ponzetti.
L’incontro con Giovanni Ricciardi, il 12 luglio 2011 all’Associazione Villaggio Cultura, ha rappresentato l’ouverture, eseguita lì da Giovanni Ricciardi e Marco Guerra, da Giovanni Ricciardi efficacemente orchestrata a più voci – tra le altre, quelle del commissario Ottavio Ponzetti, del suo fido ispettore Mario Iannotta, dell’avvocato Benedetto Galloni - all’opera, da me poi esplorata in una giornata che, per ragioni biografiche, ha assunto tutti i connotati del kairós, a cominciare dalle considerazioni sul matrimonio che Ponzetti-Ricciardi prende in prestito da Tolkien, per approdare a una particolare ‘agnizione’, serbata da tempo ed emersa proprio grazie alla lettura de Il silenzio degli occhi, che naviga nelle acque del kairós: è stato così che, leggendo un passaggio centrale del libro, ho compreso chi è stato, ai miei occhi, Giuseppe che regge lo spartito dell’angelo musicante nel quadro Riposo durante la fuga in Egitto di Michelangelo Merisi da Caravaggio. Si tratta di colui, che, in un manoscritto che ho avuto occasione di leggere un anno fa ed è rimasto purtroppo inedito, si è cimentato con il concetto di tempo tra chrónos e kairós. Tornerò a parlarne.
Anche questo è un pregio de Il silenzio degli occhi di Giovanni Ricciardi. La “gabbia intenzionale” del genere romanzo poliziesco conferma qui la sua capacità a coniugare la cronaca contemporanea con la memoria collettiva e individuale.
Anna Maria Curci, 14 luglio 2011