I luoghi letterari si impongono spesso a chi legge e cerca – le due azioni sono raramente disgiunte – con tratti ancor più vividi di quelli reali. Percorro, in queste notti, un bosco molto particolare. Si trova in contrada Brunelli, contrada “rovèrsa” in Val Leogra (la toponomastica meriterebbe un discorso a parte), al centro del romanzo La valle dell’orco di Umberto Matino. I suoi abitanti, su impulso del ‘nuovo arrivato’, il medico Aldo Manfredini, hanno disseminato il bosco di cartelli di legno, sui quali sono state incise frasi tratte dal De rerum natura di Lucrezio.
Un passaggio più di altri si è imposto alla mia attenzione, da giorni mi accompagna come un viatico insieme confortante e impegnativo. Si tratta dei versi da 146 a 148 del Libro I del De rerum natura. Li riporto di seguito nell’originale e nella impeccabile traduzione di Donatella Lovison:
Hunc igitur terrorem animi tenebrasque necessest
non radii solis neque lucida tela diei
discutiant, sed naturae species ratioque.
È necessario, dunque, che non siano i raggi del sole, né le splendenti frecce del giorno a disperdere questo terrore dell'animo e queste tenebre, ma la conoscenza scientifica della natura (l'aspetto e la scienza intrinseca della natura)
Non è la prima volta che mi interrogo su affinità e differenze tra Lucrezio e Dante. Sono interrogativi che oltrepassano la sfera della filologia, alla quale pure attribuisco una rilevanza di prim’ordine. Riprendo così la lettura del saggio Lucrezio e Dante, apparso in appendice alla raccolta di saggi di Steno Vazzana, Dante e «La bella scola» e trovo più di una risposta. Steno Vazzana sostiene la tesi secondo la quale tutto ciò che di lucreziano c’è (ed è tanto) nei versi della Commedia dantesca, non va fatto risalire a vicinanza dottrinale o letteraria (Lucrezio infatti non faceva parte della “bella scola”), bensì ad “affinità di intelletto poetico”. Così conclude il saggio Steno Vazzana:
“Che differenza c’è tra questa preghiera lucreziana a Venere e le frequenti invocazioni dantesche a Dio, che intervenga a sanare i guasti del mondo? C’è effettivamente in Dante e in Lucrezio un uguale sentimento della vita e un uguale amore verso l’umanità. Ma c’è anche un substrato affine nell’educazione filosofica, che ha disposto entrambi a vedere tutto per ragioni e giustificazioni rappresentabili dall’intelletto. Poesia intellettuale perciò questa e quella, ma insieme poesia passionale e morale, dove la visione del mondo ereditata dalle stratificazioni storiche e culturali si dispone secondo le coordinate individuali, che fanno lo stile. In definitiva in Dante come in Lucrezio il mondo appare nel tutto e nelle parti vigilato e controllato da una sorta di supervisione della ragione cosciente di sé, mentre altri poeti filosofi, come Orazio Shelley Leopardi, pur mentre filosofano, appaiono abbandonarsi a un puro flusso emotivo. I primi sono quelli che io chiamo i poeti architettonici, gli altri i musicali. E Dante e Lucrezio sono certamente i più architettonici di tutta la storia delle letterature latina e italiana”.
(Steno Vazzana, Dante e «La bella scola», Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2002, p. 224)
Luoghi, Lucrezio e Dante è anche su "La poesia e lo spirito", qui