Lingua theodisca peregrina – 1
Inauguro questa rubrica, che prende le mosse dai versi di Borges (un assaggio qui) e intende dar voce a percezioni e rappresentazioni della lingua tedesca nella letteratura, con un passaggio dal primo romanzo nel quale appare Martin Beck, sbrigativamente definito “il Maigret svedese”: Roseanna. Roman om ett brott (Roseanna. Romanzo su un crimine). Gli autori, i coniugi Maj Sjöwall e Per Wahlöö, ne consegnarono il dattiloscritto all’editore Norstedt, che aveva pubblicato i primi romanzi di Per Wahlöö, come opera di un non meglio identificato amico di Wahlöö. Solo dopo aver ricevuto rassicurazioni circa il gradimento dell’editore, la coppia rivelò chi si celava dietro l’anonimato. Il romanzo fu pubblicato nel 1965, la traduzione italiana, di Renato Zatti, è del 2005. Il breve brano riportato, nel quale il tedesco è usato come lingua di comunicazione tra colleghi olandesi e svedesi, unisce persistenti ricordi di scuola all’immagine della lingua tedesca. Territorio fertile per ulteriori discussioni, quindi.
“Il telefono squillò e Ahlberg si precipitò a rispondere. Restò a lungo in silenzio con la cornetta premuta sull’orecchio. Poi urlò di botto:
- Ja, ja, ich bin hier. Ahlberg hier.
- Amsterdam – disse a Martin Beck, che uscì discretamente dall’ufficio.
Mentre si sciacquava le mani pensò: «an, auf, hinter, in, neben, über, unter, vor, zwischen», e ricordò l’odore dolciastro di un’aula di parecchi anni prima: un tavolo tondo con una tovaglia di lana verde e una vecchia insegnante che teneva tra le dita grassocce una consunta grammatica tedesca. Quando tornò indietro, Ahlberg stava riagganciando.
- Dannata lingua – disse.”
(Maj Siöwall – Per Wahlöö, Roseanna, trad.it. Palermo, Sellerio 2005, 147)