“Il visitatore che varca per la prima volta la soglia del duomo e si affaccia sulla navata centrale, in quell’attimo di incertezza, che è di chiunque metta piede in un luogo ampio e sconosciuto, si sente prendere lo sguardo e guidare da quell’avanzata di colonne immediatamente verso il presbiterio. Come preso per mano in un sentiero spazioso, e sbalzato in un attimo a larghi passi di campate verso il fondo, l’occhio si posa sull’abside. E da lì, mentre tutto lo spazio presbiteriale rimane indefinito, incorporeo, il Cristo, solo e distante, solo e immenso, presenza unica e totale, gli lampeggia il suo limpido sguardo di Dio. Il visitatore sente una leggera emozione, ma s’avanza, subito rassicurato da quello stesso sguardo, verso di Lui, senza distrarre l’attenzione verso gli archi, le colonne, i capitelli.
Né severità, né dolore, né gioia in quel volto, ma luce e amore. Questo è il vero Dio! Dal cuore alle labbra, senza volerlo, salgono queste parole in chi, fresco magari di altre visite, viene al Pantocrator di Cefalù. Dall’ombra del presbiterio, come dalle ineffabili distanze della meditazione, in un cielo senza prospettiva né aria, ma pur così spazioso in quell’incurvarsi grandioso del catino, solo e grande, senza contorno di oggetti e quasi senza corpo, veramente Dio, Egli ti sembra farsi incontro se t’avanzi. Un volto, una mano, un libro, in una perfetta triangolazione, che mitiga e irrobustisce il moto ascensionale così caro al gotico, in una misura più vicina all’equilibrio rinascimentale di Masaccio, Piero della Francesca, Raffaello. Il corpo c’è e non c’è; è colore e luminosità, non già moto né massa. Tutto qui è veramente spirito. Questo è il vero Verbo! Ma quel volto è luce e amore, quella mano è benedicente: la distanza della divinità è colmata proprio in quella luminosità di spirito, da una fresca e immediata intelligenza di umanità, che è bontà e misericordia. Tu te la senti nel cuore e avanzi rassicurato. Questo è il vero Uomo! Mentre sta assorto in Lui e soppesa, sia pure inconsciamente, la duplicità di questa immagine così interamente d’uomo, così sublimemente di Dio, il visitatore va penetrando la sua indefinibile vitalità, che si moltiplica di attimo in attimo, quanto più la sua concentrazione si fa acuta e sensibile, fino a un grado veramente impensato, che gli dà un’emozione ben più forte ora da vicino che nel primo momento da lontano.
Donde ciò? Nel Pantocrator cefaludese c’è un altissimo grado di pura religiosità.
(Steno Vazzana, Cefalù fuori le mura, Edizioni dell’Arnia, Roma 1982, 35-36)