
Humpty Dumpty e Alice nell'illustrazione di John Tenniel
Irridente irriforma
di Anna Maria Curci
— Che bella cintura che avete! — osservò improvvisamente Alice. (Ne avevano abbastanza sul conto dell'età, ella pensava, e se veramente dovevano scegliere i soggetti a turno, adesso toccava a lei) — cioè, — ella corresse, ripensandoci — una bella cravatta. Avrei dovuto dire... no, una cintura, voglio dire... scusatemi, — essa aggiunse impacciata, perché Unto Dunto appariva perfettamente offeso, ed ella cominciò a deplorare di aver toccato quell'argomento. — Se soltanto sapessi, — diceva fra sé, — qual è il collo e qual è il petto.
Evidentemente Unto Dunto era irritatissimo, sebbene stesse zitto per uno o due minuti. Quando riparlò, fu con un sordo brontolio.
— È... una cosa molto seccante, — egli disse finalmente, — che una persona non distingua una cravatta da una cintura.
— È per la mia grande ignoranza, — disse Alice, in un tono così umile che Unto Dunto si calmò.
— È una cravatta, e bella, come tu dici. È un dono del Re Bianco e della Regina. Ecco tutto.
— Veramente? — disse Alice, lietissima di aver trovato finalmente un buon argomento.
— Me l'hanno data, — continuò Unto Dunto pensoso, mettendo una gamba a cavalcioni sull'altra e circondando con le mani il ginocchio, me l'hanno data per un dono ingenetliaco.
— Scusatemi... — disse Alice con aria impacciata.
— Tu non m'hai offeso, — disse Unto Dunto.
— Voglio dire, che cosa è un dono ingenetliaco?
— Un dono che ti si offre quando non è il tuo genetliaco, è chiaro.
Alice stette un po' a pensare.
— Mi piacciono più i doni genetliaci, — finalmente disse.
— Tu non sai quel che ti dici, — gridò Unto Dunto.
Quale è la ragione della lunga citazione da Attraverso lo specchio di Lewis Carroll nella storica edizione del 1913, dunque nella traduzione dello scrittore e giornalista lucano Silvio Spaventa Filippi? La risposta è immediata: la cosiddetta riforma Gelmini, accompagnata da proclami, bugie e video spot, altro non è che una irriforma, esattamente come l’ingenetliaco nato dalla penna del reverendo Charles Lutwidge Dodgson, in arte Lewis Carroll. (oppure, se vogliamo, una non-riforma, come il non-compleanno celebrato nella famosa sequenza della pellicola Alice nel paese delle meraviglie di Walt Disney del 1951).
Irridente, di tutte le sensate esperienze.
Irrisoria, quanto alle risorse mobilitate, ma sarebbe più corretto e aderente al vero dire: quanto alle risorse tagliate, eliminate, ridicolizzate.
Irriverente, nei confronti di qualsiasi progetto di formazione culturale.
Irrispettosa di tutti i soggetti coinvolti: studenti, insegnanti, famiglie.
Irrisolta, negli aspetti attuativi.
Irritante, nel suo strombazzare novità epocali, che tali sono esclusivamente nello smantellamento sistematico della scuola pubblica.
In una parola: irriforma.
Si è rimproverato all’opposizione in generale e agli insegnanti italiani in particolare di essere in grado solo di dire ‘no’. Niente di più falso. La cosiddetta riforma Gelmini riprende in parte la riforma Moratti. Su impianto, indicazioni nazionali per i piani di studio individualizzati, obiettivi specifici di apprendimento (i famigerati OSA) della riforma Moratti il Forum delle Associazioni Disciplinari si è pronunciato in maniera chiara, articolata e inequivocabile nel Libro Bianco apparso nel 2003 (“Indicazioni nazionali” e “profili educativi”). Il glossario critico delle parole della riforma, apparso all’interno del contributo di Lend, movimento di Lingua e Nuova Didattica, nel quale avevo analizzato dettagliatamente gli slogan di allora, propagandati come snodi innovativi, non lasciava adito a dubbi.
Il documento La scuola che vorremmo” di Adriana Agostinucci, Daniela Bertocchi e Franca Quartapelle, ha fornito un’ampia cornice e una accurata declinazione dell’offerta formativa istituzionale auspicata per il nostro paese.
Ebbene, che cosa è stato di queste prese di posizione dei professionisti riflessivi, gli insegnanti, comunicate e condivise? Sono state ignorate, esattamente come sono stati ignorati i suggerimenti dati, all’interno dei gruppi di lavoro, da singoli insegnanti convocati come esperti sul campo.
Non si sa chi abbia di fatto disegnato l’irridente ‘irriforma’, pesantemente imposta da Tremonti e fortemente voluta da Gelmini.
Qualche giorno fa sono stati resi noti i Regolamenti attuativi degli Istituti Tecnici e dei Licei.
Già soltanto la pomposa affermazione del comma 1, articolo 2 del Regolamento degli Istituti Tecnici, che intende illustrare L’identità degli Istituti Tecnici, è una menzogna, elegantemente formulata, ma pur sempre una menzogna:
“L’identità degli istituti tecnici si caratterizza per una solida base culturale di carattere scientifico e tecnologico in linea con le indicazioni dell’Unione europea, costruita attraverso lo studio, l’approfondimento e l’applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e specifico ed è espressa da un limitato numero di ampi indirizzi, correlati a settori fondamentali per lo sviluppo economico e produttivo del Paese” (il grassetto è mio).
No, la cosiddetta riforma Gelmini non è affatto in linea con le indicazioni dell’Unione Europea, è anzi uno schiaffo intenzionale agli impegni presi, da Lisbona in poi, con l’Unione Europea.
Chi è interessato a conoscere l’entità dello schiaffo, chi desideri addentrarsi nella disamina della flessione contorta e distorta di istruzione e formazione fornita dalla ‘irriforma’, può leggere l’articolo di Silvia Minardi Le bugie sulle lingue nella (non) riforma Tremonti – Gelmini delle superiori e il commento di Lend – Lingua e Nuova Didattica alla riforma degli Istituti Tecnici.
“Investire in conoscenza”: viene da un settore di ricerca riconosciuto come ‘oggettivo’ una ulteriore, efficace e difficilmente confutabile replica a chi accusa la categoria professionale degli insegnanti in generale e le associazioni disciplinari in particolare di esibirsi esclusivamente in geremiadi a vuoto dinanzi a qualsiasi tentativo di riformare la scuola – il vecchio adagio è tuttora in voga, anzi è abilmente sfruttato da un po’ di tempo a questa parte per far passare come cambiamento epocale e panacea ‘fattiva’ lo scempio sistematicamente attuato.
“Investire in conoscenza”: la pia illusione di un’anima bella? Al contrario: come ricordava qualche giorno fa Silvia Minardi, presidente Lend, in occasione del suo intervento al seminario “La didattica dell’inclusione” (Roma, 23 marzo 2010), si tratta della conclusione alla quale giunge l’analisi lucida di Ignazio Visco, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia. Investire in conoscenza è, appunto, il titolo del volume da lui pubblicato nel 2009. Questa, in buona sostanza, la tesi sostenuta da Ignazio Visco: tramontata, con l’avvento dell’euro, l’epoca della svalutazione usata per decenni dal nostro Paese come arma per controbilanciare la crisi nell’economia, è la conoscenza a farsi risorsa, a patto, tuttavia, che si sia disposti a investire in conoscenza.
L’annuale rapporto OCSE Education at a glance ci ha informato anche nell’autunno scorso, nella consueta ottica comparativa, circa i finanziamenti e il modo di operare dei sistemi scolastici in diversi paesi del mondo. Angel Gurria, segretario generale dell’OCSE, intervenendo in una sessione dal titolo significativo, “Promuovere il cambiamento nelle politiche e nelle pratiche: un modo per guardare avanti”, della Tavola Rotonda dei Ministri dell’Istruzione riunitisi il 10 e l’11 ottobre 2009 in occasione della 36ª sessione Conferenza Generale dell’UNESCO, ha ribadito che “l’istruzione e la formazione sono elementi chiave per opporsi alla crisi economica”.
Che cosa si fa, invece, con la “irriforma”? Si svuota di contenuti, sostanza e qualità, in una parola, si spolpa la scuola pubblica. Robin Hood alla rovescia, il misterioso coacervo fautore della cosiddetta ‘riforma’, riceve a cadenze regolari l’assist di chi sostiene, adducendo una pseudo- seriosa serie di dati ‘oggettivi’, che lo Stato spenderebbe di meno se investisse di più nel finanziamento delle scuole paritarie, come fa notare il numero di “Tuttoscuola” del 29 marzo 2010. Ma davvero? Mi sembra estremamente interessante che, nel momento in cui anche gli Stati Uniti, con la riforma – quella sì davvero epocale – della Sanità, prendono le distanze dalla deregolamentazione selvaggia di reaganiana memoria, l’Italia mostri per essa tanta struggente nostalgia, proprio in un settore cardine per la reale crescita economica, quello dell’istruzione. Certo, lo Stato spenderebbe di meno, ma sarebbero le famiglie a doversi accollare quasi completamente i costi dell’istruzione nella scuola paritaria. Il re è finalmente nudo: dinanzi all’emergenza, alla dilagante povertà, si fa penzolare, esca per i soliti gonzi vogliosi di credere a tutte le menzogne purché ammantate di lucente carta stagnola, un cabaret di pasticcini per i pochi, pochissimi fortunati. Il déjà vu ha il sapore scontato e, francamente, un po’ disgustoso della risciacquatura contrabbandata come infallibile ricetta della nonna.
Che ne è stato, che ne sarà dell’inclusione (si vedano i documenti dell’UNESCO almeno dal 1994 in poi), dell’educazione all’esercizio della cittadinanza attiva, della triangolazione di risorse, competenze chiave e diritti, requisito irrinunciabile per una formazione di base e una formazione permanente che intenda garantire pari opportunità di crescita a cittadine e cittadini a pieno titolo e non “Statisten”, (il termine, malgrado le apparenze da falso amico, significa ‘figuranti’ in tedesco), comparse di reality a tanto - di ignoranza esibita come vessillo e assicurazione di visibilità - al chilo?
Eccellenza ed equità possono, devono andare di pari passo: non è lo slogan di qualche velleitario agit-prop, ma il messaggio centrale del Rapporto sulla scuola italiana 2010 della Fondazione Giovanni Agnelli, presentato a Roma il 24 febbraio 2010 presso la sede degli editori Laterza.
Lo sviluppo economico si basa sull’aumento della qualità della vita, non semplicemente su un mero aumento del reddito: non l’ha detto un oscuro insegnante in delirio evangelico – l’accusa solitamente rivolta dai mercanti di proclami, bugie e video spot usa un altro termine – ma Amartya Kumar Sen, economista, insignito nel 1998 del premio Nobel per l’economia.
L’irridente ‘irriforma’ Gelmini toglie il diritto di cittadinanza all’eccellenza come all’equità, della qualità fa carta straccia.
(articolo apparso in Scuol@Europa, Anno IV, n. 9, maggio 2010, 7-8; il numero della rivista si può leggere qui: http://www.fenice-eu.org/giornale/FNI%20Scuol@Europa%20n9WEB100.pdf)
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